Africa Staged- L’Africa messa in scena è un focus interessante e ricco su uno dei fenomeni più attuali degli ultimi anni: il boom dell’arte africana contemporanea.
Doppia esposizione a Pietrasanta
Due mostre a cura di Alessandro Romanini ci portano a Pietrasanta, cittadina che accoglie i suoi visitatori estivi o vacanzieri in un clima d’arte diffusa nel suo centro storico. Frutti della collaborazione tra Galleria Giovanni Bonelli & LIS10 Gallery, la prima esposizione ha acceso i suoi riflettori durante la Collector’s Night del 10 luglio, con altre otto gallerie aderenti all’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea), mentre Africa Staged II inaugura il 17. Gli eventi coronano un lungo lavoro di monitoraggio e di scouting operato nell’ambito dell’arte africana contemporanea. Verso mete lontane della ricerca artistica fino al 22 agosto.

L’istantanea di una materia viva
La mostra non ha la pretesa di essere esaustiva rispetto all’offerta artistica di un continente costituito da ben cinquantaquattro paesi e centinaia di etnie e tradizioni iconografiche incrociate ad esiti contemporanei e personali, può però aprire il sipario sulla ricchezza e varietà delle forme espressive africane contemporanee.
Per ammissione del curatore l’operazione è proficua per la conoscenza del vasto tema, ed altrettanto paradossale: si tratta di fissare in un’istantanea una materia che continua a trasformarsi, figlia di una cultura per cui la creazione stessa è risultato di un rituale, caratterizzata da una transmedialità genetica.

Africa Staged I e II, in scena il confronto tra generazioni
Le opere sono tutte di artisti già rappresentati da importanti gallerie a livello internazionale, con una selezione che intende anche creare un confronto intergenerazionale. L’esposizione sottolinea infatti l’evoluzione linguistica dell’arte africana contemporanea nell’arco degli ultimi 30 anni con gli esempi di Aboudia, Bernard Ajarb, Nu Barreto, Armand Boua, Frédéric Bruly Bouabré, Seni Awa Camara, Chéri Cherin, Soly Cissé, Lovemore Kambudzi, Gonçalo Mabunda, Mario Macilau, Esther Mahlangu, Gastineau Massamba, Cheri Samba, Malick Sidibè, Mederic Turay.

Alcuni lavori rappresentano la prima ondata del successo a seguito della mostra seminale Magiciens de la Terre, tenutasi al Centre Pompidou nel 1989. Parliamo delle ricerche dell’ivoriano Frédéric Bruly Bouabrè, della senegalese Seni Awa Camara o del maliano Malick Sidibè, dal Sudafrica Esther Mahlangu, tutti molto noti e già acquisiti da musei internazionali, fondazioni e collezioni di rilievo.
Accanto ai decani troviamo gli artisti dell’ultima generazione come Gonçalo Mabunda che ha rappresentato il Mozambico all’ultima biennale di Venezia, il Camerunense Bernard Ajarb, Aboudia rivelazione delle ultime aste a New York. Ancora l’eclettico Mederic Turay, rapper, pittore e street artist con uno suo stile identificativo riconosciuto a livello internazionale, a cui la galleria Giovanni Bonelli ha dedicato una personale nel 2019.

Un fenomeno globale
Ad essere presentato è un assaggio della manifestazione materiale di una cultura che per decenni ha serpeggiato nell’attenzione dell’occidente, e che negli ultimi anni è esploso in tutta la sua ricchezza in diversi ambiti disciplinari. L’abbiamo trovata nella musica e nel fashion design dei grandi brand, nella letteratura, nel cinema ( si pensi alle produzioni nigeriane di Nollywood), per arrivare al design e all’architettura e conquistare il palcoscenico dell’arte contemporanea e del suo mercato internazionale.

Questa mostra arriva in un preciso momento storico, che consacra l’arte africana con diverse esposizioni e una presenza sempre più deflagrante sulla scena creativa degli ultimi cinque anni. Come specifica Romanini “ Africa Staged illustra come questi artisti abbiamo saputo creare una terza via alla dialettica Negritudine – assimilazione, vicina al concerto di Creolizzazione, che gli permette di non rinnegare le radici pur assimilando le nuove istanze multiculturali figlie del globalismi”.

Discipline spregiudicate
Dal momento in cui l’arte africana ha iniziato ad essere osservata e studiata, non prima degli anni ottanta, spartiacque tra il gusto etnografico e il riconoscimento di una vera e propria cultura espressiva, sono state evidenziate alcune caratteristiche salienti leggibili in Africa Staged. Affrancandosi da categorie e metodi di giudizio applicabili allo stato odierno del dibattito artistico occidentale, l’arte del continente nero ha nel suo dna il recupero, con la massima libertà tecnica, di energie istintuali, ritualità e transmedialità sinergica tra varie discipline senza steccati gerarchici.

Va considerata la dimensione magica, rituale insita nel processo creativo di queste personalità. Tutto questo concorre a ciò che si può definire post medialismo, cioè l’utilizzo spregiudicato di media e supporti, materiali e tecniche, generi e registri, spesso incrociati sinergicamente nella stessa opera, “dove gli artifici logico-geometrici dalla prospettiva saltano a beneficio di un all-over espressivo che investe le superfici interamente”.
A livello tematico restano vive le istanze identitarie e di rivendicazione sociale, talvolta insite nella perpetuazione di un paradigma formale. Sono oggi offerte ad un pubblico internazionale declinate secondo codici estetici e iconografici frutto di evoluzione matura.

Viaggio tra le opere in mostra
Dunque visioni e suggestioni molteplici accompagnano il visitatore lungo questo viaggio d’arte in Africa, di cui presento alcune tappe. Le suddivido per necessità di sintesi in alcune direttrici tematiche, ben consapevole dell’impossibilità di categorizzazioni nette in questo benefico maremagnum espressivo.

Impegno sociale
Malick Sidibé riflette più sulla storia che sulla cronaca con spirito antropologico. Testimone di una rivendicazione identitaria post colonialista, per il fotografo non conta tanto la tecnica quanto la documentazione. C’è in tutti gli artisti presentati l’utilizzo di strumenti o materiali rimediati o riciclati, come in questo caso macchine fotografiche non professionali. Sempre sull’impegno sociale si concentra l’obiettivo del mozambicano Mario Macilau, presente nella seconda mostra.

Chéri Samba, tra gli artisti africani più noti, è presente con i suoi dipinti intrisi di impegno sociale e politico, con immagini esplicite di denuncia di disuguaglianza, sfruttamento dell’infanzia, corruzione, scenari di guerra, ma anche esaltazione di costumi e delle leggende popolari della sua terra. Il linguaggio immediato risente dell’esperienza del muralismo e del fumetto, attraverso una figurazione quasi pubblicitaria. Anche per il congolese il messaggio è l’obiettivo, l’impatto emotivo vale più della fedeltà iconografica.

Tramandare rituali e linguaggi
Ragionando sul recupero di materiali poveri o di scarso valore per la tradizione occidentale, si notano le opere pionieristiche di un padre dell’arte africana contemporanea, l’ivoriano Frédéric Bruly Bouabré. Su cartoncini del formato di una cartolina realizza opere pitto-grafiche: utilizzando matite colorate e penne da scolaro, crea una cornice con scritte che fanno comprendere il tema della composizione. Mescolando segni e parole che “traducono” il linguaggio del popolo Beté si riferisce ad archetipi universali e alla memoria collettiva.

La valenza rituale del fare artistico è evidente per le sculture della senegalese Seni Awa Camara. Poli-figurazioni in terracotta lasciate nelle foreste d’Africa per entrare in contatto con gli spiriti selvaggi, seguendo un rituale sciamanico che lascia segni sull’opera.
La ricerca di Esther Mahlangu, (che per tutta l’estate milanese è osservabile nello spazio di Glenda Cinquegrana Art Consulting), è celeberrima internazionalmente: presente in collezioni di rilievo, promossa da musei e fondazioni, coinvolta in prestigiose collaborazioni. Eppure i suoi dipinti geometrici continuano ad essere realizzati con pennelli di piume di gallina, le sue geometrie non cercano eleganza ma intendono lasciare la traccia identitaria, e femminile, della tribù sudafricana Ndebele.

Dall’Africa. L’ultima generazione
Sublimazioni plastiche catartiche sono le maschere e i troni di Gonçalo Mabunda dal Mozambico, costruiti con pistole, fucili e proiettili. Sculture dal chiaro valore apotropaico che cambiando l’uso degli oggetti allontanano da ciò che simboleggiano, i conflitti civili,come un talismano di senso rovesciato.
Uno scatto generazionale che dice molto sull’affermazione prepotente dell’arte africana nel sistema dell’arte mondiale è rappresentato dall’ivoriano Aboudia. Nato negli anni Ottanta, discepolo di Brouabré, figura cosmopolita espressivamente eversiva e stilisticamente alla moda. Lo spirito è quello del riscatto del popolo d’Africa, sull’onda graffistista di Basquiat, con lo sguardo rivolto al continen te nero ma anche a ciò che succede a New York.

Richiami “street” nella intersezione di scritte alla figurazione polimaterica, viva nei pieni e nei vuoti del supporto sono visibili anche nei lavori del senegalese Cissé (selezionato nel ristretto gruppo della mostra “African Remix” curata nel 2004 da Simon Njami) e dell’ivoriano Bernard Boua.
Boua mi colpisce per l’operazione raffinata di decostruzione dell’immagine. I suoi collage nell’aggiungere contenuto figurale sulla tela, sembrano alludere alla sua complementarietà, a ciò che resta dello strappo di un manifesto. Forse la lacerazione dei corpi e dei volti corrisponde al rischio di perdita d’identità di un popolo, nel jet set internazionale?
Michela Ongaretti