Avant que nature meure è il titolo evocativo del progetto di Silvia Cini, nel 2022 tra i vincitori dell’Italian Council, il programma di promozione internazionale per l’arte contemporanea italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Ci sono voluti due anni di intensa ricerca prima che Avant que Nature Meure prendesse forma e si sviluppasse in un percorso di mostra al Museo Orto Botanico di Roma, già parte del Polo Museale di Sapienza Università, dopo una prima tappa nell’affine istituzione ungherese ELTE University Botanical Garden Budapest, partner dell’evento culturale.
Protagoniste del ragionamento multidisciplinare: le orchidee spontanee nel contesto urbano.
Interessano dal 2015 l’artista, che dagli anni Novanta si focalizza sul paesaggio come metafora sociale, perché la loro fioritura è un bioindicatore della salute delle città. Arte e botanica sono da lungo tempo compartecipi dell’azione di Silvia Cini, anche attraverso pratiche di arte partecipata. Nella ricerca che indaga il rapporto tra Uomo (moderno e cittadino) e Natura confluisce anche un dialogo tra diverse epoche, diverse suggestioni interrogate per scoprire scenari di cambiamento, ed eventualmente suggerire azioni di tutela a favore delle specie vegetali.
Così Avant que nature meure cita espressamente il saggio del 1965 di Jean Dorst, scienziato francese tra i padri della tutela per l’ambiente, che già allora metteva in guardia sui rischi per la biodiversità vegetale.
Da questo monito, che pure muove alla riconciliazione con la Natura, l’artista sta compiendo una mappatura sistematica delle orchidee spontanee a Roma, in buona compagnia. Tra il 1893 e il 1910 anche il pittore Enrico Coleman si era dedicato alle orchidee spontanee della nostra capitale, realizzando loro “ritratti” dal vero ad acquerello, ciascuno recante l’indicazione del luogo di fioritura. Su queste opere si basa il nuovo censimento visivo di Cini, che dimostra come lo sviluppo urbano, dove al tempo di Coleman era piena campagna oggi si trovano grandi quartieri metropolitani, non abbia impedito la sopravvivenza delle piante.
Grazie alla documentazione artistica di Coleman il testimone della biodiversità passa si incontra con la sensibilità del nostro tempo. Cini crea coinvolgimento pubblico con strumenti molteplici, rivolgendosi ai ritrovamenti delle orchidee in aree sempre più antropizzate bilanciando la fascinazione estetica della resilienza alla pressante necessità di attivare enti e tecnici alla tutela delle varietà, richiedendo ad esempio modifiche nelle tempistiche di sfalcio. Al termine del progetto si potrà assistere ad un ideale ricongiungimento del corpus grafico di Coleman, insieme al suo prezioso erbario, già conservati all’Istituto Centrale per la Grafica, con la visione contemporanea di Silvia Cini.
La mostra nella serra espositiva del Museo Orto Botanico attraversa la durata pluriennale del progetto Avant que nature meure esibendo le sue diverse tappe disciplinari: scultura, fotografia, video, installazione ambientale e sonora.
Quest’ultima accompagna la visita con la voce dell’artista che racconta il suo incontro con gli acquerelli di Coleman, attraverso il regalo di un libro, e la successiva ricerca, la scoperta delle piante spontanei nelle lunghe camminate tra le vie romane che fanno ragionare sul bisogno di un dialogo con il mondo naturale per la sopravvivenza interspecie. Nel percorso sono presenti anche materiali di documentazione nelle diverse aree di fioritura, insieme a mappe e video come gli esiti dell’incontro Spontanee, realizzato a CareOf, che ha coinvolto in una conversazione Silvia Cini con gli artisti: Stefano Boccalini, Stefano Cagol, Pasquale Campanella, Gea Casolaro, Leone Contini, Claudia Losi ed Emilio Fantin.
Le apparizioni più evocative sono le piccole sculture di orchidee spontanee: forse perché comunicano ad un primo sguardo la loro delicata (r)esistenza, o forse per affinità con lo spazio in cui sono immerse.
Trovando infatti casa in uno dei giardini botanici più antichi d’Europa, condividono con il luogo l’intento di rendere visibile a molti più occhi la bellezza nascosta di specie poco conosciute, poco appariscenti e poco valorizzate. Una parte di queste opere è realizzata con la tecnica della galvanoplastica, un processo di stabilizzazione delle specie botaniche in uso nei gabinetti scientifici mitteleuropei, ai tempi di Coleman. Sono da intendere come prototipi di segna-sfalcio che dovrebbero indicare dove non intervenire e lasciare che sbocci quel che ancora non si vede.
Altre sculture in creta cruda provengono dal workshop primaverile al Museo PAV di Torino, nel quale Silvia Cini ha coinvolto il pubblico in una ricerca sulla memoria collettiva di aree verdi nel capoluogo piemontese. La successiva creazione di sculture di piante in argilla, da ricollocare dove un tempo sorgevano spontaneamente, è stata anche un invito a riflettere sull’impermanenza. Anche la materia di cui sono fatte queste visioni si disgregherà nella terra da cui si originano piante e sculture. Sono come monumenti anti-celebrativi di una rimozione, di una dimenticanza.
Avant que nature meure Online, on life e offline
Avant que Nature meure è un progetto assai articolato, tuttora in progress. Ad esempio è in costruzione la piattaforma digitale che già contiene e conterrà sempre più testi, immagini, video, podcast, contributi di botanici, urbanisti, artisti e sociologi, oltre a fornire una mappa interattiva dei luoghi romani di fioritura, in collaborazione la Facoltà di Scienze Ambientali de La Sapienza di Roma.
Con la mappa osservabile all’Orto della capitale italiana si cerca di creare una coscienza collettiva coinvolgendo tutti coloro che vivono la città, abitanti e turisti, attraverso una open call che prosegue oltre la conclusione della mostra. L’invito è ad accrescere il censimento botanico caricando sulla piattaforma immagini degli incontri ravvicinati con le orchidee spontanee. Con Dérive nel verde sono stati organizzati piccoli gruppi di camminate metropolitane alla ricerca dei fiori mettendo in patica e attualizzando le tecniche di rilievo psicogeografico di Guy Debord: atti semplici di conoscenza e di consapevolezza degli inarrestabili mutamenti dovuti alla stratificazione urbana.
Roma è solo un esempio. Infatti il progetto intende estendere la riflessione sulla resilienza delle specie vegetali nel processo irreversibile dell’antropizzazione del verde a diverse istituzioni e realtà culturali italiane, che si occupano di Arte e Natura.
Diversi eventi e incontri fanno parte del progetto che ammalia con la grazia di fragili presenze vegetali per sensibilizzare un pubblico molteplice. Oltre ai già citati CareOf e PAV Parco Arte Vivente sono coinvolti: Fondazione Lac o Le Mon, Hellenic Society for the Protection of Nature, Hungarian Garden Heritage Foundation, Kunstraum München – En plein air, MAMbo di Bologna, Museu da Amazonia. Tutti gli interventi saranno raccolti nel catalogo curato da Alessandra Pioselli.
Biodiversità radicale, a partire da Budapest
Come evento espositivo Avant que nature meure ha fatto tappa per la prima volta nell’estate 2023 a Budapest, presso ELTE Botanical Garden. Anche in quell’occasione l’operazione intendeva portare l’esempio della straordinaria resilienza vegetale come esempio di biodiversità in una visione sistemica. Le metropoli contemporanee sono da considerarsi come “superorganismi” nei quali uomini, animali e piante interagiscono con il tessuto urbano adattandovisi e modificandolo costantemente, e affinché ogni organismo possa restare vivo e in salute serve da parte nostra maggiore cooperazione nella tutela globale.
Per sensibilizzare sulla necessità di un’azione comunitaria a Budapest l’artista si è rivolta alla popolazione più giovane attraverso workshop e incontri. Ad esempio il primo incontro ha portato gli studenti a conoscenza delle specie di orchidee spontanee e dei dati sulla fioritura attuale a Budapest forniti tramite Füvészkert, Orto Botanico e un’unità educativa speciale dell’Università Eötvös Loránd di Budapest, dal botanico e ambientalista Bájor Zoltan. I ragazzi hanno partecipato attivamente nella raccolta dei dati: attraverso foto scattate con i cellulari alle orchidee lungo percorsi quotidiani in città, hanno acquisito consapevolezza della preziosità di queste vite e della necessità della loro tutela.
In termini più generali anche le peculiarità delle tradizioni culturali forniscono una visione sulle relazioni dell’umano con le altre specie viventi, sulla continuità della loro presenza intrecciata alle nostre narrazioni.
Perciò Avant que nature meure nella declinazione di Budapest ha assunto la forma di un progetto site specific, tra installazioni audio ambientali, sculture, foto, dati e performance. “Trovando una prospettiva nella realizzazione delle opere che si riallacci in modo stretto alla cultura ungherese”, Silvia Cini ha trasformato il ricamo tradizionale delle rose Matyò in orchidee, quelle che fioriscono oggi negli spazi interstiziali di incolto, intessendole sui camici che le biologhe indossano nell’Orto Botanico di Budapest. I passi di danza dell’antico popolo Matyò si sono fusi a quelli contemporanei nella performance corredata dalle immagini di reportage etnografici anni Venti. A Roma è esposto il camice ricamato e alcune foto di questa “forma di restituzione del paesaggio del popolo Matyò”, che come molti altri è stato progressivamente assorbito dal processo di creazione delle identità nazionali.
Fino all’8 Settembre 2024
Orto Botanico – Sapienza Università di Roma
Largo Cristina di Svezia, 23 A – 24 ortobotanicodiroma.it
Michela Ongaretti