Diane Arbus con la sua opera è entrata nel’universo iconico del ventesimo secolo. La sua ribellione al linguaggio convenzionale della fotografia di moda dell’epoca l’ha portata nel territorio inesplorato degli ultimi. Ha reinventato una disciplina grazie alla trasgressione ad un insegnamento, liberando le sue ossessioni ha inventato un immaginario. Con intuito e tenacia ha viaggiato nei territori della soggettività creando uno stile inconfondibile.

Diane Arbus, Nani russi, amici in un salotto della Centesima Strada. New York, 1963
“Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate.”
Espressionismo e Moda
Diane Nemerov nasce a New York il 14 marzo 1923 da una facoltosa famiglia ebrea di origini polacche. Giovanissima, a soli 14 anni Diane si innamora di Allan Arbus che sposerà non appena raggiunta la maggiore età. Allan Arbus è uno dei fattorini impiegati nei grandi magazzini Russeks, di proprietà della famiglia Nemerov.
Le scuole frequentate da Diane Arbus già dall’infanzia stimolano positivamente le doti innate della giovane studentessa. Il padre, consapevole del talento della figlia, la manda già dal 1935 a lezione da Dorothy Thompson, che aveva studiato col pittore espressionista George Grosz, le cui opere comunicavano forti messaggi sociali che criticavano la società, dominata dall’avidità e dal falso perbenismo. Diane Arbus viene subito a contatto con nuove modalità espressive, nuovi modi di fare arte, più orientati verso la sperimentazione piuttosto che su banali stereotipi.

Diane Arbus in un raro ritratto di Roz Kelly, Getty Images
Nel frattempo Diane e il marito aprono uno studio interamente dedicato alla fotografia di moda, in cui Diane svolge il ruolo di assistente. Raggiungono il successo negli anni cinquanta, riscuotendo grandi consensi con pubblicazioni su riviste come “Vogue” o “Glamour”. La fotografa acquisisce una notevole padronanza del mezzo fotografico.
Nuovi orizzonti antiborghesi
Sentiva però maturare un crescente senso di insofferenza verso quel mondo patinato, finto. Rifletteva la sensazione costante di essere cresciuta in un ambiente iperprotetto che non le aveva mai fatto provare una sola avversità: “Vivevo in un costante senso di irrealtà, che potevo percepire solo come irrealtà. E la sensazione di essere immune, per quanto assurdo possa sembrare, era una sensazione dolorosa”. A ciò si aggiunga che Diane Arbus percepisce di non sfruttare a pieno le potenzialità del medium fotografico.

Diane Arbus, Giovane famiglia di Brooklyn a passeggio domenicale, 1966
Con l’intento di ampliare i propri orizzonti, dal 1957, comincia a frequentare i corsi di fotografia di Lisette Model presso la New School for Social Research. La Model è considerata un’intrigante pacifista, di sinistra e poco affidabile per la borghesia newyorkese. E’ sotto la sua guida che Diane Arbus inizia il suo viaggio nella fotografia trasversale consapevole che “la fotografia è quello che sappiamo e quello che non sappiamo”, c’è grande differenza tra ciò che l’occhio vede e ciò che vede la macchina fotografica.

Diane Arbus, Couple under a paper lantern,1966
Sarà proprio nel 1957 che consumerà il suo divorzio, anche artistico, da Allan Arbus, lasciando lo studio condiviso per dedicarsi alla propria ricerca, frequentando luoghi, fisici e mentali, che le erano stati vietati dall’educazione ricevuta. Abbandonerà totalmente il mondo dell’alta moda per focalizzarsi sulla soggettività di individui la cui vera prova era vivere con sé stessi.

Diane Arbus, Ballerina topless nel suo camerino, San Francisco, 1968
Diane Arbus: gli occhi più istintivi della fotografia
Arbus riesce ad abbattere quel muro di timidezza dovuta a rigidi schemi mentali che le impedivano di seguire il suo istinto, tanto che la Model poi la definisce come “gli occhi più istintivi della fotografia.”
Inizialmente Diane Arbus fotografa i suoi soggetti da una certa distanza, nel loro contesto, solo più tardi passa ai primi piani, usando la luce in modo da conferire un’aura particolare ai protagonisti. Usa un potente flash elettronico senza mezze misure, butta il colpo di luce addosso ai soggetti: essi sono vivi, presenti nella coscienza sociale della Arbus, nella cui fotografia non ci sono tracce di voyeurismo o esibizione del feticcio trasgressivo.

Diane Arbus, Due uomini ad un ballo di drag queen. New York,1970
L’inquietudine del doppio e la citazione di Stanley Kubrick
Uno dei soggetti prediletti da Diane Arbus è la coppia. Possono essere trans, etero, freaks, i gemelli costituiscono un’eccezione alle regole sociali. Suscitano un particolare interesse nell’artista per la capacità di scambiarsi tra loro senza dare alcun sospetto: sono il simbolo di un’individualità compromessa, in cui si rivede Diane, nell’opera sempre alla ricerca del suo doppio inconfessato.

Diane Arbus, Identical twins, 1967
Tra i vari creativi degli anni Sessanta conosce l’allora giovane fotografo Stanley Kubrick. Quando diventerà un famoso regista le renderà omaggio nel film “Shining”, con l’allucinatoria visione delle gemelline, riprendendo una delle immagini più famose dell’intera produzione della Arbus.
Si tratta di “Identical Twins”(1967) foto significativa della visione artistica del doppio di cui la Arbus è sempre alla ricerca. Le due bambine, vestite in velluto, differiscono l’una dall’altra solo per l’espressione: una leggermente imbronciata, l’altra sorridente. Sono il riflesso dell’indole bipolare della Arbus, la cui vita fu contrassegnata da un’inquietudine costante.

Diane Arbus, Signora ad un ballo mascherato con due rose sull’abito. 1967
Gli ultimi uomini: la trasgressione degli schemi sociali ed estetici
Diane Arbus, fin da piccola incuriosita da persone dall’aspetto bizzarro, trova la sua fonte di ispirazione in quelli che Sander definì “gli ultimi uomini”. Frequenta campi di nudisti, parchi pubblici, tossicomani, transessuali, nani, giganti, ospedali psichiatrici, balli in maschera, folli e reietti.
Era per lei fondamentale creare una cooperazione fra soggetto e fotografo, una comunicazione dialogica con i protagonisti degli scatti, entrare in intimità con loro. Li rassicura affinchè siano a proprio agio, talvolta stringendo veri e propri rapporti di amicizia.

Diane Arbus, Donna portoricana con neo. New York 1965
Nella poetica di Diane Arbus ciò che è importante sono i soggetti, non tanto la composizione o la resa formale. Lei stessa afferma “La questione è che non si eludono i fatti (…). E’ importante fare delle brutte fotografie. Sono le brutte che mostrano qualcosa di nuovo. Possono farvi conoscere qualcosa che non avevate mai visto in una maniera che ve le farà riconoscere quando le rivedrete”.
L’artista insegue le stranezze, le inquadra, le ferma in uno scatto e dà loro un titolo. La fotografia inverte le apparenze e mostra la dignità degli emarginati, dei miserabili, denunciando piuttoso l’aspetto grottesco delle persone abbienti. “La maggior parte della gente vive con la paura di avere prima o poi un’esperienza traumatica. I freaks sono nati con il trauma. Hanno già passato il loro esame. Sono degli aristocratici”.

Diane Arbus, Nano messicano nella sua stanza in hotel a New York,1970
L’autenticità come cura
Esistono due mondi: uno bloccato nell’intrigo delle convenzioni, dove l’uomo non riesce a liberarsi dai paraocchi mentali dei preconcetti, l’altro è il terreno della libertà di pensiero e di scelte. Purtroppo le crisi depressive, apparse prima della separazione dal marito, si inaspriscono e l’unico modo per placarle consiste nel fotografare gente fuori dal comune. L’artista si sente parte integrante di un mondo tanto disprezzato, ma incredibilmente autentico. Non sono semplicemente deviati o individui dall’aspetto poco gradevole che frequentano luoghi fatiscenti, sono persone che chiedono di essere accettate per quello che sono, con i loro problemi fisici o mentali.

Diane Arbus, Miss Cora Pratt, la signora della contraffazione. 1961
Con la fotografia Diane Arbus ha la capacità di cogliere la “normalità” delle persone cosìddette anormali. La Arbus non pone l’accento sulla loro presunta sofferenza e infelicità, piuttosto sulla loro indifferenza e autonomia. C’è molta più sofferenza negli ritratti dei “normali” come la vecchia coppia litiga su panchina o la donna ritratta a un ballo in maschera. Il bambino con una bomba a mano giocattolo, con una smorfia sul viso, l’abbigliamento scomposto, tradisce il paradigma dell’innocenza dell’infanzia.
Sarà la mostra “New Documents”nel 1967, al MoMa di New York, curata da John Szarkowski, a sancire la posizione di primo piano di Diane Arbus nel panorama della fotografia. L’iniziale riluttanza della fotografa lascia il posto all’ottimismo nella consapevolezza di potersi far conoscere da critici e artisti. La sua opera esemplifica come la verità emerga spontaneamente in coloro che non hanno più nulla da perdere, nei relegati in un mondo a parte: essi possono rifiutare la maschera imposta dalle convenzioni sociali.

Diane Arbus, Bambino con una granata giocattolo a Central Park. 1962
Il sottosviluppo della società occidentale
La fotografia di Diane Arbus mostra che il sottosviluppo non è una condizione riscontrabile soltanto nel Terzo Mondo, e neppure ai margini della civiltà occidentale: esiste ovunque la società non sia in grado di affrontare disagio, povertà, diversità. Diane sceglie il faccia a faccia con la diversità per togliere il velo dell’ipocrisia e della superficialità. Il suo linguaggio fotografico è una critica radicale della società. Le immagini dell’artista non cercano il patetico, la commozione, piuttosto inducono alla riflessione. L’artista opera una democratizzazione del brutto: almeno in fotografia i ” freaks” sono posti sullo stesso piano degli altri esseri umani, lasciando da parte ogni implicazione morale o ideologica.

Diane Arbus, Serie Untitled,1970-71
Untitled
Nel 1969 Diane Arbus ottiene i permessi per poter fotografare persone affette dalla sindrome di Down presso istituti per malati mentali: qui ri-scopre un modo diverso di fare fotografia, a favore del movimento contro la tipica fissità dei suoi soggetti. Ora a catturare l’attenzione sono acrobazie, giochi, feste, gli sguardi persi nel vuoto di queste persone che vivono del tutto inconsapevoli. Con essi è quasi impensabile riuscire instaurare un dialogo come ha fatto coi precedenti soggetti delle foto, questo dona loro un fascino anche maggiore. Sono persone che paiono vivere in una dimensione tutta loro, lontano dai giudizi e dalle incomprensioni ottuse della società. Questa serie sarà denominata “Untitled”, sarà l’ultima opera di Diane Arbus che nel 1971 si toglierà prematuramente la vita. Le immagini di questa serie saranno pubblicate postume.

Diane Arbus, Una foto della serie Untitled. 1970-71
Diane Arbus con la sua fotografia dimostra come la dignità dell’essere umano non venga mai meno, anche in situazioni al limite. La sua poetica vuole smuovere le nostre coscienze. Ha rivelato il valore intrinseco di ogni essere umano, cercando nella quotidianità delle persone ghettizzate, mortificate, il coraggio di vivere. Ogni scatto è teso a scacciare il terrore del pregiudizio per far emergere la fraternità, la solidarietà, l’amore.
R.D.