EX5 richiama la pittura italiana a Bologna. Dopo il rumore solito che ArteFiera produce, nella città felsinea è tornata quella calma apparente che cela visioni d’arte ancora fruibili, che incantano tra vie e viuzze protette dai portici .
Il progetto EX arriva alla sua quinta edizione, mettendo in gioco sei artisti: Giovanni Blanco (1980), Jacopo Casadei (1982), Rudy Cremonini (1981), Domenico Grenci (1981), Enrico Minguzzi (1981) e Nicola Samorì (1977).
Come nelle precedenti mostre le accademie di Belle Arti di Bologna e di Ravenna collaborano riunendo artisti formati al loro interno, oggi riconosciuti a livello nazionale ed internazionale. Si ritrovano anche nel 2023, nella selezione a cura di Carmen Lorenzetti, per rappresentare esempi di successo che incoraggino studentesse e studenti ad intraprendere una carriera coerente con la propria formazione. Questo speciale incontro di talenti è altresì occasione per stimolare riflessioni sul significato della pratica pittorica degli ex allievi, accomunati dal punto di vista generazionale. Ciascun artista di EX5 ha costruito una cifra stilistica, nel rapporto con la tradizione o con un modello, con un diverso modo di far apparire un soggetto mediante il colore, sul senso della figurazione nell’arte contemporanea.
Dentro il Salone degli Incamminati, così chiamato grazie al trio carraccesco, metaforicamente mi incammino in compagnia di Domenico Grenci, che rispondendo ad alcune domande riesce a darmi delle indicazioni per fruire al meglio il suo lavoro e la mostra collettiva.
Domenico, che effetto fa ritrovarsi dopo qualche anno ancora qui, ma in un’altra veste, quella di un artista che ha accumulato diversi successi?
Questo è un luogo sacro, lo considero una sorta di confessionale laico, dove mettersi a nudo e lasciarsi stimolare, al cospetto di padri, artisti che, nonostante i secoli che ci separano, impartiscono ancora insegnamenti utili. Gran parte della mia formazione artistica e personale è avvenuta in questo luogo e nella confinante Accademia, dunque, ovvio che questa mostra ha per me un valore in più. La reputo anche un atto di ossequio nei confronti di tutti i professori che mi hanno accompagnato nello studio.
Partendo proprio dal fatto che siete tutti pittori provenienti da un passato di studi accademici, quanto oggi incide questo percorso sui ragazzi che vogliono intraprendere questo mestiere?
L’accademia la considero una fucina di vita. A questo luogo sono riconducibili le mie amicizie più sincere che ancora mi porto dentro. Spesso dico che gli studi accademici non riguardano un apprendimento puramente nozionistico ma diventano strumento per sviluppare una individualità ed un personale approccio alla vita, avvalorato ancor di più dalla constatazione attuale di un cambiamento repentino e, in molti casi, impoverimento nella valorizzazione dei rapporti in genere.
Non so quanto il percorso accademico incida realmente su coloro che vogliono intraprendere questo mestiere, sicuramente genera aspettative che andrebbero sostenute con più forza, da parte di tutti.
Il ritratto, soggetto importante nel tuo corpus pittorico, vede figure femminili immerse nella loro intimità, spesso accompagnate da un altro quadro, creando un dittico, raccontaci meglio questo accostamento che immagino non sia casuale…
Ho iniziato oramai da tanti anni questo cesellamento ossessivo nei confronti, in particolare, del volto femminile, partendo tra l’altro anche da molti capolavori che sono conservati in Pinacoteca, ma “il trionfo attenua il dubbio” e dunque era arrivato il momento di scardinare alcune dinamiche e mettermi in discussione. Questo mi ha portato, negli ultimi anni, a pormi delle domande differenti e cercare di risolvere alcuni fraintendimenti. Mi sento un po’ come Frenhofer al cospetto de “il capolavoro sconosciuto” dove si è sempre alla ricerca di qualcosa, di un niente, ma quel niente è tutto. L’occasione l’ho colta in una edizione di “Selvatico” a cura di Massimiliano Fabbri, a Cotignola, dove, grazie al confronto con l’amico Giovanni Blanco, ho cercato di proporre una questione altra che in qualche modo rompesse quegli argini confortevoli della riconoscibilità.
Nel riportare tutto a casa, come bagaglio esperienziale, ho avuto la necessità di far entrare in dialogo queste cose. Dunque, ricucire e mettere assieme pezzi scomposti. Il dittico, letteralmente “piegato in due”, fa sì che si inneschi una narrazione, due parti non separate, ma parti di un uno. Si creano accostamenti a volte più ostici a volte più immediati. Ti direi che avevo la necessità di mettere in dialogo questi aspetti del lavoro che mi portavo dentro e che non trovavano un posto, ma è un lavoro che tuttora sto sperimentando.
Parlando di fiori, immagine che accompagna la pittura sin dall’antichità, per te cosa rappresentano, decadenza o rinascita?
In un breve testo per una mostra fatta insieme al pittore Giovanni Blanco a Ragusa alla galleria Soquadro cito Samain dicendo che: “Ci sono delle strane sere in cui i fiori hanno un’anima” La decadenza e la rinascita non sono scindibili, come il celeste ed il terreno appartengono entrambi ad una ragione per cui vivere.
La mostra raccoglie opere dei tuoi colleghi e amici, trovi in loro qualcosa in più che senti mancare nella tua di tecnica?
Non ne ho mai fatto una questione di tecnica, anche se indubbiamente tutti gli altri artisti in mostra hanno una tecnica per me spiccata, ognuno con le sue peculiarità, non le vivo come mancanze, anzi, la cosa molto interessante della mostra è proprio questo invece, ovvero il fatto che, pur essendo più o meno coevi, frequentato l’accademia in modo quasi parallelo, abbiamo, in un modo eccezionale, delle personalissime dinamiche linguistiche. La cosa che mi sento di dire è che tutti i lavori di EX5 trasudano sincerità. La tecnica a volte può essere un’ottima mentitrice, in questo caso credo che sia un valore aggiunto. Poi ovviamente essendo inetti maschi teniamo il machismo lontano da dinamiche che riguardano il più ed il meno.
Ripartendo dalla tecnica, tu usi il bitume, materiale non facile da domare, quali sono gli altri materiali che stai sperimentando o che hai già fatto tuoi?
Il bitume per me è un materiale estremamente sofisticato, unico forse nel suo genere proprio perché poco ricade nei “generi”, questo anche perché ha una sua “indipendenza” di stesura. Ovviamente do grande importanza al disegno e dunque all’uso del carboncino che credo dialoghi molto bene con il bitume. Ho ripreso l’olio e gli acrilici in questo ultimo ciclo di lavori, al contrario perché innescano dialoghi contrastanti tra una stesura più immediata (acrilico) ed una più “contemplativa” (olio) generando strane dinamiche di coesistenza.
Oggi i ragazzi/e che cercano di intraprendere il tuo mestiere, puntano subito in alto. Quando sono tanti gli step tramite quali potersi far conoscere. Da questo punto di vista pensi che Bologna sia mancante di un punto di ritrovo dove condividere, creare ed esporre?
Guarda, credo che non sia tanto una questione di possibilità espositive, quanto più una questione di contenuti/contenitori. Non credo neanche che sia una questione di scaletta. Percepisco, invece, una questione molto più profonda legata alla mancanza di prospettiva, di fiducia e dunque di aspettative. L’accademia è una fucina, come dicevo prima, che credo aiuti nella formazione artisti che tuttavia si troveranno, una volta finito il piano di studi, a non avere un riconoscimento sincero da parte del mercato.
Non credo nella democratizzazione dell’arte, non credo ci sia nulla di democratico nell’arte, né tanto meno che ci sia bisogno di un sindacato di categoria, ma questo non vuol dire che bisogna rifuggire da una dialettica e da un confronto appassionato e profondo che generi iniziative più rizomatiche e sistemiche.
Forse da questo punto di vista la città, anche attraverso eventi come ArtCity, con la sua mappatura di spazi e luoghi differenti, potrebbe ambire decisamente di più diventando un polo artistico unico nel suo genere. Non mancano le occasioni lì dove vengono riconosciuti dei valori. Il sistema cultura risente di un affaticamento strutturale, credo sia innegabile, e di conseguenza ci vuole una gran determinazione e capacità per riconoscere e vagliare le bestialità che questo genera. Fortunatamente ci sono isole felici, nuovi approdi che ridefiniscono i confini delle opportunità ma necessitano decisamente di un supporto più concreto.
EX 5 è visitabile fino al 19 marzo presso la Pinacoteca di Bologna, Salone degli Incamminati. Via delle Belle Arti, 56.
Per maggiori informazioni https://www.ababo.it/home-ababo/