Maurizio Bottarelli, nato a Fidenza nel 1943 ma bolognese d’adozione, è una personalità di spicco nel panorama della pittura del secondo Novecento italiano. Nella sua storia artistica ha instaurato relazioni prolifiche, e talvolta dissonanti, con le correnti e gli autori nazionali ed internazionali coevi, con un approccio alla disciplina aperto alla trasformazione. Ci ha regalato opere impregnate di un passato che guarda ai naturalisti seicenteschi così come all’informale europeo.
Evidenziando quegli intrecci attraverso tappe salienti del percorso di ricerca ha aperto a CUBO, museo d’impresa del Gruppo Unipol, la mostra personale “Disperdere il limite” a cura di Pasquale Fameli.
Per questa occasione è presentato un corpus di dipinti, scelti tra i 25 donati dall’artista emiliano al Patrimonio artistico di Unipol, selezionati da Fameli con il supporto di Angela Memola, responsabile Arte e Patrimonio artistico del gruppo.
La mostra è dislocata nelle due sedi bolognesi di CUBO. A Porta Europa si assiste ad uno sviluppo cronologico dei lavori a soggetto testa e nudo, diversamente in Torre Unipol si assiste ad una fase più matura con opere di grandi dimensioni dove il paesaggio è protagonista.
Il legame con l’istituzione culturale risale già al 2017 quando ebbe luogo la mostra “In bilico tra veduta e visione”.
Da quell’esperienza è nata l’idea di una cospicua donazione in segno di fiducia, riconoscendo comunanza tra i principi fondanti del museo, memoria, protezione, condivisione e futuro, e gli intenti del lascito. In questo modo si è creata la possibilità di una democratica fruizione delle opere, nella valorizzazione di una vasta produzione all’interno di un progetto complesso, che intende contribuire alla promozione e alla crescita culturale del territorio.
Luogo d’origine della ricerca pittorica pluriennale è la stretta e antica Via Battibecco di Bologna, dove viene fondato un atelier da Maurizio Bottarelli e altri artisti tra cui Alberto Colliva e Franco Filippi.
Il gruppo più precisamente si fa chiamare Gli arrabbiati del Battibecco, per rivendicare la loro sete di svolta nei confronti dell’arte locale. Lo spazio ha vita breve, mentre lunga sarà la strada di una produzione che ancora oggi crea immediatamente un dialogo diretto con lo spettatore. Proprio in questo studio nasce Testa del 1962, con l’ambizione di confrontarsi con la pittura dal respiro più vasto.
L’opera apre anche idealmente il percorso di visita della mostra, da Porta Europa. Nel primo piano di una figura deformata dal tormento esistenziale, si legge uno sviluppo tematico e stilistico che condivide gli esiti dell’Informale europeo, soprattutto Jean Dubuffet, di Jean Fautrier, o dell’emiliano Pirro Cuniberti.
Maurizio Bottarelli non ha mai smesso di sperimentare con i materiali pittorici per ragionare su tre temi essenziali: la testa, il nudo e il paesaggio.
Sono visioni migranti tra loro, dalle quali scaturiscono intense atmosfere, testimoni di un “ tormento ideale” che si origina dalla riflessione profonda della condizione umana. Vediamo materia in abbondanza, sovrapposta e distesa in svariate riprese come per creare una topografia delle emozioni, e in questo intravedere di uno sguardo e collage post-cubista è già predisposta un’altra tematica fondamentale oltre il volto, il paesaggio inteso come esplorazione più ampia del soggetto umano, non come rappresentazione di un ambiente naturale. Infatti le stesure dei vivaci colori marrone tra pennello e straccio aprono uno scenario verso quelle distese di terra che tenderanno nella produzione successiva alla loro massima essenzialità.
Il pittore è fiero di essere rimasto coerente alla sua visione personale, pur influenzata dall’osservazione degli stili di artisti a lui contemporanei nei diversi periodi ma mai allineata, conservando una lateralità problematica se non divergente dalle tendenze. E’ una dedizione profonda, un rapporto in divenire a legarlo alle sue tematiche. Ad esempio da CUBO ci offre un confronto tra le teste più antiche e quelle datate 2012. Qui la sovrapposizione crea la bidimensionalità e ci permette di intravedere la cupezza che si apre al colloquio con l’inquietudine dell’esistenza.
Tra i volti e il paesaggio si colloca il corpo, non definito ma umano, anticlassico nella sua rappresentazione.
Corre l’anno 1963 quando il giovane Maurizio Bottarelli girovaga nella galleria La Loggia, dove vede una personale dell’americano Francis Bacon che gli permette di avvicinarsi a quell’alienazione, evidente poi sul Nudo del 1964. Quel nudo visto come soggetto ambiguo, incapace di acquisire un’identità definita prende spazio appoggiandosi sulla materia corrosa quasi bruciata, alla maniera burriana: qui il semplice uso del pennello lascia spazio ad una contemplazione plurivalente.
Lasciati per un attimo gli accostamenti di pigmenti, carta, colla, vernice, solvente, osserviamo la grande opera Senza Titolo del 1972, scherzosamente ribattezzata da Francesco Arcangeli, Nerone, per via delle sue dimensioni e l’utilizzo del colore nero.
Per Maurizio Bottarelli queste vaste dispersioni cromatiche sono muscolature e segni sotterranei, frutto di visioni passate riportate al presente. Esempio più rappresentativo e suggestivo di questa fase di ricerca, è anche il punto culminante della sezione tematica nella sede di Porta Europa. Così aveva considerato il dipinto l’autorevole critico, che manifestò l’intento di esporlo al Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 1972, dedicato all’alternanza Opera o comportamento. Per motivi alterni non succederà ma il fatto conferma il rapporto di stima che legò l’artista a quel visionario che raccoglieva presso di sé quei pittori padani dell’informale, che condizionarono le sorti della pittura europea.
Una descrizione poetica di Arcangeli riporta: “Dentro al mio garage sulla Via Emilia le pareti sono nere, minacciose, ma, nel sogno, possono diventare tenere, invischianti come l’amore. La sfiora un alito, insinuato dentro al nero solido fantasma dalla luce che filtra netta dagli interstizi. È una luce d’aeroporto. Se ce la farò ad uscire dalla tana meccanica che mi chiude, credo che volerò.”
Infinite sono invece le memorie rubate ai viaggi che ci conducono negli spazi espositivi della Torre Unipol, dove sono esposte una serie di grandi tele con paesaggi.
Nel dedicarsi alla fase più matura della ricerca di Bottarelli la struttura perde le sue colonne aprendo a nebbie e turbolenze, facendo così tornare la pratica dell’informale, lasciando sul supporto tramite note agitate una melodia che ha il sapore delle luci se non nostalgie del Paesaggio islandese (1991), della Tasmania (2005), della Scozia, della Norvegia e di altri mondi lontani che Bottarelli ha calpestato.
Lontano da una rappresentazione che ha come riferimento il realismo ottocentesco, prende piede una natura più agitata, piena di sensi, un passaggio che tende ad una misura più concettuale nella metafora esistenziale. La Torre Unipol offre una pittura che si apre in maniera nuova allo spazio romantico, con uno sguardo a William Turner, per confermare, al cospetto delle forze della Natura, la drammaticità della condizione del soggetto .
È evidente così che per Maurizio Bottarelli l’essenziale sta in una visione trasfigurata, tesa fra splendore e dolore.
Enzo Tessadori
Disperdere il limite, fino al 29 settembre presso CUBO – Museo d’impresa del Gruppo Unipol
Bologna, Torre Unipol (via Larga 8) | Porta Europa (Piazza Viera de Mello 3 e 5)
per maggiori informazioni www.cubounipol.it/it/mostre/disperdere-il-limite