Stranger Shores è il titolo del ciclo di dipinti di Hao Wang, presentati nell’omonima mostra personale presso lo Studio d’Arte Cannaviello. Merita una visita, entro il 4 giugno, per lo stile già inconfondibile, una carriera giovane dalla vocazione immaginifica.
Una disciplina sperimentale
Potrebbe colpire la presenza di questa ricerca in uno spazio storicamente dedicato a forme espressive tutt’altro che accademiche, se si segue lo stereotipo che una tendenza negli artisti contemporanei orientali a voler manifestare con virtuosismo una disciplina d’arte. Non che per Artscore sia un fattore negativo, anzi, ma nella pittura di Wang la capacità espressiva di una pittura evidentemente protagonista e consapevole di ogni suo effetto, ha un risvolto violento, spiazzante.
Stranger Shores va oltre il racconto a pennello, fa ironia di sé stesso per determinare la tragicità di un istante. Può essere un momento nella vita presente o alludere all’oggi come isola nell’oceano della Storia, che nella sua connotazione pittorica fa emergere una figurazione bloccata nell’azione, come un frame cinematografico. Per questa fissità violenta attraverso un’armonia spezzata dai toni contrastanti, dalla pittura che si scioglie e a tratti pare cancellarsi, Stranger Shores si integra al percorso di lunga vita dello Studio d’Arte Cannaviello, testimone e promotore del successo di grandi nomi che portarono all’esasperazione di un linguaggio. Mimmo Paladino, Hermann Nitsch, Martin Disler, solo per fare tre celebri esempi.
Pittura d’attenzione ai problemi sociali
Hao Wang è in effetti alla sua seconda personale in questa galleria: due anni fa aveva manifestato il suo interesse naturalistico attraverso la tematica delle favole, mentre in Stranger Shores l’attenzione è rivolta alle condizioni sociali cui si trova a vivere l’uomo contemporaneo.
Per quanto non sia intento dell’arte proporre soluzioni su questioni sociali, resta forte il richiamo dell’attualità e la sua osservazione entra nell’universo artistico su molteplici livelli, anche a seconda di quanto una tematica tocchi più da vicino l’artista.
Wang considera che il valore del suo lavoro stia nella responsabilità di poter suggerire una visione, di poter portare alla luce ciò che affligge o condiziona tutta l’umanità, attraverso soggetti e linguaggio del tutto personali. Come spiega in occasione della vernice, “vorrei che i miei dipinti toccassero dentro, portando l’attenzione del pubblico sui problemi sociali e spingessero a riflettere sulle questioni sostanziali che stanno alla base della realtà”.
Stranger Shores: uomo e realtà fenomenica
Nello specifico di questo ciclo pittorico di 20 tele, osserviamo due parti cromaticamente distinte e corrispondenti a due possibili livelli interpretativi, due punti di vista per rendere metafora della contraddizione insita nell’animo umano e nel suo modo di agire o reagire a una condizione di cambiamento. La reazione ad un fenomeno appare essere il concetto alla base dell’elaborazione di un dipinto.
Si scorgono sempre paesaggi indefiniti ma intuibilmente selvaggi nell’irregolarità delle forme o nell’emersione di elementi naturali o monumentali: questa confusione magmatica circonda una o più silhouette che paiono riflettere sul loro contesto, o interagire con i suoi elementi come per salvarsi da una catastrofe. Spesso in primo piano, queste figure in controluce talvolta voltano le spalle all’osservatore del quadro, talvolta resta misteriosa la loro interazione con esso perché il volto è completamente in ombra. In ogni caso la loro presenza o azione invita all’analisi o muovono ad un sentimento di ciò che le circonda e che ha sempre a che fare con la difficoltà vivide nel quotidiano: nel lavoro, a causa della guerra, come conseguenza dell’inquinamento, nel superamento apparente di confini geografici e culturali.
La rappresentazione di un impatto
L’argomento dell’immigrazione tocca da vicino Wang essendo straniero, ma le spiagge sono “stranger” in entrambe le direzioni, per chi vien dal mare e chi osserva da terra. Inoltre l’estraneità si riferisce a l’inconoscibilità di fenomeni di cui sentiamo parlare spesso sui media nazionali, ma di cui la lontananza fa sì che scorgiamo solo la loro incidenza filtrata.
Di una guerra resta sostanzialmente non chiarificata la sua necessità di scatenarla, nel modo in cui le popolazioni vivono, anche se abbiamo reportage televisivi che ne snocciolano la cronaca. La rappresentazione è quindi quella dell’impatto degli avvenimenti sulla sensibilità collettiva, che resta misteriosa nella sua manifestazione molteplice: è il caos di segni e colori, di una matericità fluida o gocciolante, talvolta cancellata, censurata nella copertura del fondo.
Simboli suggestivi
Le silhouettes sono mimetiche e al contempo stagliate contro quella pittura di magmatica emozionale che copre quasi l’intera superficie del quadro. Alcune di esse rivelano un’attenzione sorprendente alla cultura letteraria e artistica occidentale, ancora più interessante se non consapevole, non calcolata.
Come dicevo le figure indicano allo spettatore un’area d’interesse, invitano a guardare non loro stessi ma verso una direzione, eppure sono essi stessi “simboli suggestivi” (come li definisce il pittore). Rappresentano il punto di vista, l’angolo di una visuale interna verso l’esterno, verso la realtà fenomenica. Possono anche rivelare lo stato d’animo di chi si trova a costruire il proprio destino di ricerca in una dimensione culturale che non è originariamente la propria, ma nella quale si sta muovendo conservando curiosità verso essa. Il punto di osservazione di un promettente pittore cinese formatosi sia alla China Academy of Art che all’Accademia di Belle Arti di Brera.
L’uomo nella composizione e in alcuni riferimenti iconografici
Può restare un’interpretazione ma in alcune opere confronto formale e compositivo tra queste silhouettes e suggestioni iconografico-letterarie dell’immaginario occidentale, è avvertibile. Possiamo vedere un Don Chisciotte o un Viandante sul mare di nebbia da Caspar David Friedrich (anche se il personaggio del paesaggio simbolico è filtrato ormai da Anselm Kiefer all’Hangar Bicocca, per chi ha scelto milano come città d’adozione).
Quando invece la figura non è la sola in controluce il contenuto del quadro è meno intimista e più chiaramente sociale, nella composizione che distribuisce su tutto lo spazio vari elementi figurali senza gerarchie evidenti, anzi paiono agire in piccole comunità. In questi dipinti gli umani sono indaffarati ma almeno uno è rivolto verso di noi, e non trovo casuale che proprio in questi lavori i riferimenti all’oriente o a paesaggi esotici prenda il sopravvento su altre suggestioni. Qui dove le forme sono più definite in azioni concrete il linguaggio appare alleggerito, meno enigmatico in un’estetica più ironica e quasi pop. Forse perchè l’operosità del gruppo fornisce un senso di sicurezza maggiore di fronte ad una problematica.
Tela di confine
La tela stessa è quindi metafora di scontro o incontro, terra di confine: tra l’esteriore/oggettivo e il soggettivo/irrazionale, tra le civiltà occ e orientale, tra osservazione e azione. Tra il qui e ora e ciò che si ripete nella Storia, come fenomeno non transeunte. Lo è anche nel linguaggio d’insieme di atmosfera sognante e umoristica, eppure od oppure onirica e convulsamente tragica.
Un titolo letterario
Aggiungo che il titolo della mostra ha anche una matrice letteraria precisa, che rafforza la mia idea di riferimento o citazione ad un patrimonio immaginifico per l’umanità. Se non è consapevole la scelta del nome, essa si dimostra ancora più sintomo ed effetto di una grande coerenza nell’impostazione simbolica, più sentita che razionalizzata. Stranger Shores è anche una raccolta di saggi sulla letteratura, gli approdi dei classici dei grandi mondiali come Daniel Defoe, Rainer Maria Rilke, Franz Kafka, Robert Musil, Fëdor Dostoevskij, Jorge Luis Borges, Salman Rushdie ecc, secondo la visione di John Maxwell Coetzee del 2001.
Michela Ongaretti
Stranger Shores, fino al 4 giugno presso
Studio D’Arte Cannaviello, Piazzetta M. Bossi 4, 20121 Milano
mar-sab 11-19