Claude Cahun, nome d’arte di Lucy Renée Mathilde Schwob (1894-1954) esponente del Surrealismo, artista dalle molteplici sfaccettature, esplorò diverse discipline: autrice di saggi, attrice teatrale, fotografa, costumista.
Fu intima amica degli artisti surrealisti più provocatori, da André Breton, Salvador Dalì, Man Ray a Henry Michaux. Pierre Albert Birot e donne come Gertrude Stein, Sylvia Beach e Adrienne Monnier.
Claude Cahun
Lucy scelse Claude, un nome neutro, maschile o femminile a seconda dei casi, associato a Cahun, cognome della nonna paterna col quale rivendicava fortemente le sue origini ebraiche.
“Maschile? Femminile? Ma dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi si addice”. Nelle sue opere ella ha ritratto sé stessa togliendo qualsiasi tratto avrebbe potuto definirla di genere femminile o maschile, designando diverse identità, proponendo individualità mutevoli fatte di tante maschere.
Il sodalizio per la vita con Suzanne Malherbe
Nel 1917, il padre di Claude Cahun si risposò, dopo che la moglie Antoinette tormentata da continui esaurimenti nervosi, venne ricoverata in una clinica psichiatrica. Fu allora che, come un fulmine, scoppiò la passione con quella che era la sua sorellastra, Suzanne Malherbe, che divenne poi Marcel Moore, con la quale Claude strinse un sodalizio amoroso e artistico, un legame affettivo che divenne solidarietà creativa, i cui anni più fruttuosi furono tra il 1918 e il 1930.
Subirono le stigmate della “diversità” in un momento storico in cui l’antisemitismo cominciava a dilagare e ancora più inaccettabile, agli occhi della società, era l’omosessualità delle due donne. Claude Cahun, una donna in abiti e nome maschile, totalmente controcorrente in una seppur trasgressiva Francia di inizio 900. Dietro la macchina fotografica spesso si cela Marcel. Il loro legame fu così forte e carico di passione tanto da firmare le opere con le iniziali di entrambe “LSM”, rendendosi irriconoscibili.
Arte e amore lesbico
Arte e vita non erano ascrivibili a nessun genere. Claude e Marcel, assieme ad altre coppie omosessuali del primo Novecento, donarono un lascito a un’etica libertaria con la quale smontare secoli di sottomissione e violenza contro le donne. Nella sua fotografia Claude Cahun non ebbe timore di mostrare l’amore lesbico in un periodo in cui esso era negato, condannato, censurato; purtroppo molti dei lavori dell’artista furono distrutti dalla Gestapo che irruppe nella casa delle due donne e diede alla fiamme ciò che era considerato un’oscenità.
L’energia e il vigore dell’amore lesbico che anela e desidera l’uguale a sé stesso (lo stesso sesso) crea turbamento e diviene sommo peccato. Ma può l’amore essere peccato? L’amore lesbico, come ogni amore vero, invita a vivere ciò che il corpo brama. E’ il corpo che parla. La fotografia dell’artista è ammissione di un corpo desiderato (androgino, ermafrodito) e allo stesso tempo espressività compiuta di una forte carica vitale con la quale essa raggiunse stati mirabili, nell’arte come nella vita.
Nudità come alterità
I ritratti della Cahun ci conducono dentro la quintessenza dell’omosessualità reclamata a gran voce, lungi dall’essere opere basate sul narcisismo o sul prospetto di immaginari che non siano quelli che determinano una frattura definitiva coi valori dominanti. “La nudità del corpo racconta quella “s-definizione dei ruoli e delle identità quasi come protesta e ribellione alle norme di codificazione dei generi e delle inclinazioni sessuali” (Federica Muzzarelli).
L’incontro e la frequentazione di utopisti dell’eresia come Georges Bataille, Antonine Artaud o Marcel Duchamp faranno capire all’artista l’importanza del corpo “ignudo” come alterità del corpo sociale. Così Claude Cahun con le sue mille maschere si scardina da qualsiasi classificazione, facendosi portatrice di un terzo sesso. La surrealtà della sua opera reclama il diritto di vivere liberamente, e ha mostrato come il pensiero libertino e libertario sia l’unico che ha frantumato la tradizione spregiativa cristiana, dando libero sfogo all’appagamento della diversità sessuale.
Contro-ordine domestico
“Un air de famille” è una fotografia particolarmente significativa per la Cahun, che invita a ascoltare la voce degli oggetti domestici, di forme conosciute, perché sia possibile “costruire o distruggere”: un nuovo modo di vedere la realtà, uno sguardo che rinasce ogni volta diverso, come una frattura dell’ordine stabilito. L’opera è costituita da un piccolo letto sul quale scivola un velo sorretto da una corona fiorita.
Sul letto vari oggetti e un foglio con una mescolanza di parole che pongono l’accento sulla parola “mangiare”disarticolato fino a far emergere il verbo mentire, mens, come se l’artista cercasse una via di fuga, di liberazione, tramite il travestimento e l’illusione, dal disagio esistenziale che la opprimeva e che sfociava spesso in lunghi digiuni, accompagnati dalla dipendenza da oppio. Attraverso gli oggetti sparsi sul lenzuolo l’artista racconta le sue ansie e le sue paure, il senso di inadeguatezza che porterà sempre dentro sé, il sentirsi estranea all’ambiente alto borghese da cui proveniva. Lucy decide di rinascere: si rasa i capelli,si veste in modo eccentrico,e definisce un corpo nuovo, togliendo tutto quello che possa renderla riconoscibile.
Evasione nella metamorfosi
“Mi faccio radere i capelli, strappare i denti, i seni, tutto ciò che infastidisce o irrita il mio sguardo, lo stomaco, le ovaie, il cervello cosciente, un corpo senza organi”( Aveux non avenus, 1930) Nasce così Claude Cahun. Con le metamorfosi e i travestimenti l’artista evade da sé stessa e dal suo volto, alternativa da contrapporre alla rigidità dell’ambiente in cui era cresciuta.
Disagio famigliare
La figura familiare che può farle avvertire una via di fuga a ciò che la stessa artista definiva “il mio personaggio enigma” forse si cela nella rappresentazione di “Elle”, la sfortunata moglie di Barbablù: l’artista è vestita con un abito pudico, incrociato nella parte superiore, i capelli raccolti in una treccia attorno al capo (capelli che rappresentano il peccato di essere donna), gli occhi e le labbra evidenziati da un trucco pesante che mettono in risalto un volto dal pallore lunare. Il viso di Elle forse cela quello della madre Antoinette, affetta per tutta la sua vita da crisi depressive e pesanti esaurimenti.
Claude Cahun era certa che il disagio materno, proprio come il suo, fossero la manifestazione di una ribellione all’ambiente familiare. L’assenza della madre fu una ferita che mai si rimarginò, ma Claude si rese conto che la sua unica salvezza consisteva nella possibilità di esprimersi attraverso l’arte, accompagnata in questo viaggio dalla compagna Marcel: Claude parla e scrive, Suzanne ha il compito di vedere e svelare le incessanti metamorfosi dell’amata.
Artista, lesbica, ebrea
In un autoritratto risalente al 1926 il viso di Claude emerge da uno sfondo oscuro, un globo di vetro sul capo, quasi fosse un velo che arriva a coprirle le spalle, il trucco risalta su occhi e labbra. Una grande e scintillante stella adorna il petto dell’artista e spicca dallo sfondo scuro: l’artista sottolinea ancora una volta le sue origini ebraiche, un impulso talmente profondo al punto di trasformare le sue origini in opera d’arte e farne uno dei punti nodali della sua ricerca artistica.
“Io ebrea al punto di usare i miei peccati per la mia salvezza di mettere in opera i miei sottoprodotti, di sorprendermi continuamente. L’occhio a uncino, al bordo della mia immondizia” (“Aveux non avenus”). La colpa da cui deve redimersi sta forse proprio nell’impeto di uno sguardo a cui non riesce ad esimersi, poiché in esso risiede la possibilità di vedersi ogni volta una creatura diversa e Claude Cahun vi riconosce l’unica via di salvezza.
Aveux non avenus
In “Aveux non avenus” l’artista scrive “Dio moltiplicandosi si è suddiviso all’infinito. Invano nell’Universo noi cercheremo la sua somiglianza”.
Un volto ogni volta diverso che si lascia velare e svelare con l’arte del travestimento e che trova la sua ragion d’essere nella dissomiglianza da sé. Uno sguardo che spazia nelle infinite possibilità offerte dalle molteplici metamorfosi originate dalla volontà dell’artista, che rinasce ogni volta diversa attraverso lo sguardo della compagna.
Sguardi oltre lo specchio
In un altro autoritratto del 1928 Claude ha i capelli corti e chiari, il volto abbronzato, indossa un lungo abito a scacchi, posa davanti a uno specchio. Ma gli occhi non guardano nello specchio, a cui accosta il volto quasi a voler ascoltare sé stessa, ma si rivolgono verso la sua anima gemella, Suzanne, ritratta in una fotografia accanto allo stesso specchio mentre guarda la superficie riflettente e , allo stesso tempo, risponde allo sguardo di Claude.
Qui le artiste attribuiscono visibilità anche al carattere doppio del loro sodalizio. Lo specchio funge da canale attraverso cui esse dialogano. Scrive Claude Cahun “Il mio amante non sarà più il soggetto del mio dramma, sarà il mio collaboratore. Io sono uno, tu sei l’altro. O il contrario”.
Un incontro di fantasie e desideri che rese la loro unione affettiva inscindibile da quella intellettuale. “ Ti amo poco, molto, appassionatamente, per nulla. Tu mi ami e io sono libera. Tu mi ami poco, molto, appassionatamente, per nulla. Io ti amo e tu sei libera.” (“Le Muet dans la melèe, 1948).
R. D.