Interminabili sguardi hanno dato vita ai paesaggi dipinti da Alessandra Rovelli sulle sue Life-Box, un lungo percorso di ricerca ora in mostra da Spazio Prada-Home Gallery a Bergamo.
Non so se vi è mai capitato, ma per qualcuno osservare a lungo un oggetto porta a trascendere la sua forma: i contorni sfumano in immagini che poco hanno a che fare col presente, con l’immanente, il reale davanti ai nostri occhi mantiene sembianza del verosimile ma pare appartenere ad un tempo altro, quello della memoria. Tramite l’intensa osservazione si possono interiorizzare i segni e persino la materia per una visione che da oggettiva si fa soggettiva.

A quel gruppo di persone appartiene certamente Alessandra, che ha esercitato quel potere nel territorio di pianura nel quale è cresciuta, trasformando il paesaggio in un luogo di sfumature e ombre quasi magico. La differenza l’ha fatta la perseveranza nella ricerca incessante, che l’ha dapprima impegnata nella pratica della ceramica, imprescindibile al suo successivo approdo alla pittura.
Fino al 28 ottobre una raccolta di circa trenta opere si trova negli ambienti raccolti di SPAZIO PRADA. Sono quasi tutti dipinti su tela applicata a scatole di cartone realizzate negli ultimi anni dall’artista. Il titolo della mostra, Life-Box, esemplifica la poetica che nell’esercizio pittorico si riferisce al potere rigenerativo e contemplativo della memoria, idealmente in dialogo con gli obiettivi dell’attività di psicoterapia di Diana Prada, fondatrice della home gallery.

Interminabili sguardi si trovano dentro alle sue immagini, perché contengono interrogazioni più che centenarie al paesaggio, visioni che evadono dal confine della materia per allontanarsi oltre l’orizzonte, oltre la dimensione fisica.
Tanti paesaggi sono come fossero uno soltanto, quello del divenire universale nel pulviscolo aereo che incontra la Terra. Interminabili sguardi verso l’assoluto che non finiscono sulla superficie ma che comprendono altre visioni precedenti, e che continuano simbolicamente nella logica del loro supporto, nella funzione della scatola associata all’azione del custodire oggetti come ricordi. Quei pezzi di vita forse risultano sfocati, ma il sentimento che li ha fatti registrare arricchisce e rinnova le visioni del presente.
Si può osservare come dall’interno le scatole emanino una sorta di nostalgia che invade i soggetti, vedute atmosferiche calate in un tempo indefinito, sul crinale della loro dissolvenza o formazione. L’operazione concettuale della pittrice prevede una controparte poetica “da fuori”: un pensiero concepito nel pieno della creazione affidato a piccoli pezzi di carta, un messaggio che prolunga con poche parole l’esperienza del quadro, che chi guarda non leggerà, conscio però del fatto che si trovi molto vicino ad una chiave interpretativa.

Proprio quel senso di quotidiano mistero avvolge i morbidi paesaggi di pianura, ammantati di un “desiderio mai appagato di immensità”, come ha notato Felicia Guida che ha presentato la raccolta nella serata inaugurale di Life Box.
Se Rovelli sceglie la prospettiva di ampie pianure ad aspre altitudini, se “predilige misurarsi con gli orizzonti per meditare sulla possibilità di attraversarli, senza temere di vacillare”, lo fa interpellando la corposa materia pittorica. Raggiunge quella dimensione meditativa attraverso la stratificazione di colore, cerca la leggerezza come si carica il proprio peso prima di un balzo verso l’alto. Quell’agitazione materiale riflette un meccanismo umano, come umano è il punto di vista sulle ampie prospettive descritte: fisico, esperibile. I composti addensati sulla superficie delle Life-Box mescolano tra i pigmenti polveri, carbone, cenere o terra, talvolta persino alluminio, invadendo il cielo, che è sempre una questione terrena. Così la frontiera lontana non è più spaziale ma interiore: per esplorarla Rovelli cerca e trova il senso di un anelito spirituale nella forza degli elementi naturali.

Sono vibranti corrispondenze tra sentimento umano e sentimento della Natura a dare nobiltà d’opera ad antichi contenitori, come dimostrano i titoli che l’artista sceglie. E’ L’effetto che mi fai, è come Luccica sparso il vento, è la Luna che chiede: Raccontami di te.
Hanno una storia i supporti corrosi dall’usura che l’artista sceglie. La loro testimonianza sconosciuta è rivestita con i suoi ricordi personali, così come sono strade già percorse nella terracotta quelle che increspano il colore pastoso che si spacca sollecitato dalla stratificazione, quelle che incontrano colore di diverse liquidità. E’ ancora una volta un modo per dirci che le esperienze sono condivise e circolari, che il ciclo della trasformazione non cessa di soggetto in soggetto, di visione in visione, che è possibile creare nuove forme espressive e nuove risorse dalle ferite della quotidianità. Rendere parte del proprio percorso interiore gli interminabili sguardi dell’artista sul paesaggio, naturale o antropico, può guarire.

Condivide questo pensiero Diana Prada che suggerisce come si possano ritrovare frammenti del proprio vissuto dai toni introspettivi delle opere, dal confronto con il senso del limite dell’orizzonte in cui cielo e terra si confondono.
“Anche lo Spazio Prada vuole essere una Life-Box: spazio che diventa luogo, dove le storie lasciano una traccia, dove le tracce dialogano tra loro dando vita alla complessità che permette a nuove prospettive di emergere.” In questo senso anche l’arte che abita ambienti dedicati alla psicoterapia può intensificare la sua attenzione ai temi della cura, della complessità e della salutogenesi.

Tra i paesaggi materici dell’ultimo periodo noto qualcosa di nuovo, sempre caratterizzato da quella poesia agitata del sublime ma animati da una contemplazione più disturbata.
Rispetto alle prime Life-Box, la cui produzione è ininterrotta dal 2016, emergono sinistri bagliori del pericolo sempre più costante per l’esistenza del paesaggio stesso. I fumi sono quelli dell’inquinamento, i fuochi quelli degli incendi. Una tematica così scottante, quella ambientale, da costellare il viaggio verso l’infinito di segnali d’allarme.

Quella complessità a cui si riferiva Prada è fatta anche di queste interruzioni, che comunque non chiudono quegli interminabili sguardi. Piuttosto rendono il valore di ciò che è più disgregabile, la fragilità collega ormai gli interminati spazi leopardiani più a disumani che sovrumani silenzi. Il dialogo con la materia naturale si mantiene ancora vitale, ancora possibile, nonostante il monito di una serie di opere dal titolo The absurdity of the human race.
Segnalo l’appuntamento di domenica 28 ottobre, a chiusura della mostra si esibirà nello spazio il musicista Marco Cocci. Le atmosfere evocate dai suoi suoni rispecchiano quelle dei dipinti di Alessandra Rovelli. Chi vuole conoscere meglio di mondo dell’artista può consultare il suo sito www.alessandrarovelli.it
SPAZIO PRADA – Home Gallery, via Sant’ Elisabetta, 3 – IV piano, Bergamo
Michela Ongaretti