Michela Ongaretti incontra Guido Buganza agli Eroici Furori

by Michela Ongaretti
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Galleria Gli Eroici FuroriGalleria Gli Eroici Furori- Guido Buganza – Quaderni Milanesi

Guido Buganza Quaderni Milanesi alla Galleria Gli Eroici Furori a cura di Silvia Agliotti e patrocinata dal FAI (Fondo Ambiente Italiano).

Sabato pomeriggio sono stata a Gli Eroici Furori Arte Contemporanea  dove ho avuto modo di parlare con l’artista, prima che arrivassero numerosi visitatori a rivolgergli domande in occasione dell’apertura straordinaria per le giornate di Primavera del Fai.

Guido BuganzaGuido Buganza, La Stanza Blu

Durante il week end era possibile visitare beni non sempre aperti al pubblico come l’Albergo Diurno Venezia, luogo sotterraneo di grande fascino, e un tempo di grande utilità pubblica in città, legato alla mostra perché l’artista ha realizzato dipinti raffiguranti alcuni arredi ancora presenti presso l’Albergo dopo il restauro.

La gallerista e curatrice della mostra Silvia Agliotti ha associato il nome di Guido Buganza a quello del FAI,con una mossa intelligente e che ha dato buoni frutti in termini qualitativi e di risposta del pubblico. La delegazione FAI di Milano ha dato infatti il patrocinio all’esposizione e parte del ricavato delle opere vendute sarà devoluto a sostegno dei progetti di valorizzazione del Diurno Venezia e del patrimonio culturale d’Italia. Se quindi non lo avete ancora fatto consiglio vivamente la visita in via Melzo fino al 25 marzo.

Guido BuganzaGuido Buganza, Poltrona da Barbiere al Diurno

Guido Buganza ritrae un luogo attraverso i suoi particolari, la suapittura ad olio si sofferma su ciò che resta degli arredi dell’Albergo diurno destinato nei tempi andati a ristorarecon un bagno, una rasatura o una pedicure le membra stanche di cittadini o più spesso viaggiatori in transito a Milano, dove la toilette era un servizio pubblico inserito in un contesto elegante, progettato da un architetto di fama comePiero Portaluppi, lo stesso che ha realizzato la modernissima e lussuosavilla Necchi Campiglio, ora un vero e proprio museo, nell’area di Porta Venezia come il Diurno e come questo custodito, mantenuto e valorizzato dal FAI.

Mi domando se i suoi avventori si rendessero conto di stare all’interno di un gioiello architettonico dell’epoca, splendido esempio di Art Déco costruito tra il 1923 e il 1925 e raro esempio nel suo genere. Non sembra essere quello dello stile dell’edificio l’obiettivo dei “ritratti” di Buganza intento a ricercare piuttosto con le sue prospettive spiate, gli angoli nascosti e le sedie vuote il genius loci ancora vivente laggiù, sotto a Piazza Oberdan.

E lo spirito del luogo, fatto di intrecci di storie frammentarie, di presenze bisognose di una pausa dal trambusto della quotidianità o del viaggio aleggia sulle sedie del barbiere, sulle piastrelle, nelle tubature umide. Proprio di questaassenza/presenza umana mi ha parlato Buganza ragionando sullo stile di oggi e sul suo lavoro come scenografo di ieri.

Aveva iniziato come artista su tela, poi il diploma in Scenografia all’accademia di Brera lo porta dentro il mondo del teatro che lo impegna in moltissime realizzazioni per una carriera intensa di cui festeggia venticinque anni, e riapproda da pochi anni all’esclusiva dedizione di quello che definisce il grande amore che lo richiama a sé, la pittura.

Quaderni Milanesi Quaderni Milanesi di Guido Buganza, particolare di un dipinto

I soggetti che vediamo in mostra sono una logica conseguenza di questa scelta, quella del passaggio dalla scenografia alla disciplina che mi dice di farlo sentire “demiurgo di me stesso”,frutto di una riappropriazione di un linguaggio indipendente dalla visione scenica. Alcuni anni fa i suoi dipinti rappresentavano unicamente la figura umana, spesso attraverso particolari o ripresa da molto vicino: mi spiega che era come se volesse contrastare uno spaziointerpretato e vissuto come quello scenico, attorno a questi corpi. Come se temesse di affrontare un ambiente attorno alla figura in quanto non ancora emancipato ed evoluto dalla disciplina che lo ha impegnato per gran parte della sua esistenza. L’evoluzione era in corso, e risultati di questa ricerca costante li vediamo ne “I quaderni milanesicon la restituzione agli occhi di questo spazio attorno alla presenza umana, definita nella sua assenza, mediante gli oggetti per lei costruiti.

Non poteva essere diversamente per i lavori sull’Albergo Diurno, dovel’immaginario dell’osservatore si sviluppa su ciò che si avverte e non si vede, dove lo stato di conservazione di oggetti nel loro abbandono lascia intuire la precisa e frequente funzione del loro uso originario , dove il silenzioso e riflessivo fissarsi dell’immagine richiama i suoni dell’ attività quotidiana. Sono frammenti di un declino che richiama in vita una storia, molte storie, che ripopola di persone attraverso la visione degli strumenti di cui si servivano.

Scorrendo la sua biografia rimango colpita da due nomi tra i numerosi, come i premi nobel Dario Fo ed Harold Pinter per il teatro, due personaggi nel mondo della cultura che sono anche tappe della mia storia formativa e professionale.

Abergo Diurno VeneziaUn interno dell’ Abergo Diurno Venezia dipinto da Guido Buganza

Il primo è quello diEmilio Tadini, figura senza la quale questo articolo non potrebbe essere letto perché non esisterebbe ilmagazine creato dal figlioFrancesco Tadini – Milano Arte Expo – come non esisterebbe lacasa Museo e spazio d’arte Spazio Tadini sorto sullo studio dell’intellettuale, dove si è concretizzata per me la proposta di collaborazione più di un anno fa. Guido Buganza ha lavorato come scenografo per lo spettacoloLa Tempestatratto dal romanzo di Tadini nella stagione del Teatro Franco Parenti 1993/94, poi è stato suo assistente per Il Barbiere di Siviglia sempre al Parenti quando Tadini ideò eccezionalmente l’allestimento, scene e costumi dello spettacolo di Giovanni Paisiello per la regia di  Andrée Ruth Shammah. 

Ma l’attivissimo Spazio Tadini stesso è stato interessato ad una proposta partita direttamente da Buganza che aveva portato nella location di via Jommelli 24 gli spettacoli-performance “Quadrat-4 Sorelle” e “Quadrat-Gulliver” dell’artista uruguaiano Armando Bergallo. Si trattava di una piattaforma multimediale che fondeva musica, video, danza, recitazione, action painting,parte del percorso di ricerca del contrabbandista Nicola Arata conosciuto da Buganza durante la Biennale di Venezia nel 2008.

Mi racconta di come fosse stato coinvolto nel favoloso mondo artistico di Bergallo, nella sua colonia artistica vicino a Bergerac in Francia formata da artisti, musicisti, danzatori e attori, che ogni anno realizza un piccolo festival di musica e pittura. Capisco come deve essere stata un’esperienza di immersione d’arte generosa, forse utopica, ma che fortunatamente è riuscita a fare arrivare in Italia un poco di quella polvere di magia.. peccato non esser stata presente a Spazio Tadini nel 2009.

Una rara immagine dello spettacolo Quadrat di Armando Bergallo, in scena a Spazio Tadini nel 2009Una rara immagine dello spettacolo Quadrat di Armando Bergallo, in scena a Spazio Tadini nel 2009

Il secondo nome è quello di Peter Greenaway, importante per me perché è stato soggetto della mia tesi di laurea, per cui Guido Buganza lavora nel 2007 a “Peopling The Palace” presso la restaurata Venaria Reale come scenografo e pittore.

Greenaway mi era già balzato in mente quando ho parlato alla rievocazione delgenius loci di Buganza, presente anche nei film dell’inglese, spesso metaforizzato da un personaggio enigmatico o beffardo. Ho collegato anche l’opera dei due nel differente approccio al pensiero della vita in un luogo splendido ma ormai abbandonato. Buganza affronta l’assenza come aggirandosi nell’intimità del singolo umano per dichiararne il passaggio, nei “Quaderni Milanesi”, mentre il regista ricostruì la vita di corte per filo e per segno, ricreò un’immaginaria e generosa schiera di rumorose presenze, con tutta la sua ridondante gerarchia tra servitori, cuochi e dame, nell’installazione multimediale.

Guido BuganzaGuido Buganza – installazione Peopling the Palace di Peter Greenaway, il pavimento in cuoio è stato realizzato da Buganza in veste di scenografo

Fu in una parola più “teatrale” nel senso della spettacolarizzazione delle azioni, e corale rispetto al lavoro per il Diurno, ma la logica della finzione ha coinvolto più del previsto Buganza che mi ha raccontato di esser stato ingaggiato inizialmente per contribuire alla scenografia, e di essere stato poi notato dallo stesso Greenaway che gli chiese di dipingere. Ho chiesto in che modo, dato che non ricordo interventi pittorici nella video installazione: l’artista ha colmato le “lacune” delle riprese ai ritratti di corte reali della reggia, ritraendo attori come se fossero i personaggi storici mancanti.

Quando vidi al tempo l’opera non me ne ero accorta..così il gioco dell’artificio edella beffa della ricostruzione ha funzionato in pieno stile Greenaway e Buganza ha dato prova della sua capacità tecnica come pittore, ciò che ancora oggi rientra nel suo lavoro come caposaldo.

Di questo mi aveva parlato quando volevo conoscere il legame con la sua iniziale attività di incisore: una disciplina che presuppone la “priorità tecnica” e che ha “innestato il suo DNA” nella pittura, così che con la padronanza di uno stile, aumenta il “grado di fiducia nelle proprie possibilità” e la realizzazione di un soggetto nasce e cresce agevolmente, procedendo subito come “divertimento”, rivelando la personalità dell’autore aggiungo io.

Termino ricordando che questa sensibilità intimista e tecnica ha attirato negli anni l’attenzione di critici e uomini di cultura del calibro di Aldo Busi, Vittorio Sgarbi, Nicola Gardini e Mario De Micheli.

Cosa ha lasciato Quaderni Milanesi in me: l’immersione nell’atmosfera dell’assenza rivelatrice attraverso il colore ad olio, e il respiro del teatro in pittura.

Michela Ongaretti

 

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