Maurizio L’Altrella dipinge in maniera vigorosa, le sue pennellate sembrano scuotere la materia, come in un rituale che richiami alla luce le figure nascoste nell’ombra. Anche l’oscurità dei suoi sfondi è pulsante, perché vive in rapporto osmotico con ciò, e chi, il pittore sceglie di evocare da quel magma cosmogonico. Di fronte all’apparizione non siamo però in silenzio, perché anch’essa è mobile, in migrazione verso altre sue immagini. In una dimensione atemporale, l’agitazione del colore abbraccia i tumulti metamorfici di iconografie religiose o mitologiche. Si sente un ritmo incalzante per tutto il tempo che passiamo di fronte ad un suo lavoro. Per questa ragione non potevamo non interrogarci sull’influenza che può avere la musica nella gestazione dell’universo simbolico di Maurizio L’Altrella, nel processo di un’arte che intreccia memorie occulte in un racconto dinamico.
Maurizio, ascolti musica mentre lavori? La risposta a questa domanda non è ovvia…
Non potrei lavorare se non ci fosse quella che definisco ormai la mia musica.
Cosa ti piace ascoltare in quei momenti? Perché? Intendo dire quale credi sia la funzione della musica, ti aiuta ad entrare nell’atmosfera che stai immaginando mentre la tua opera prende forma ( e soprattutto colore), oppure il suono è semplicemente un amico che ti tiene compagnia e aiuta la concentrazione, in armonia con il tuo mondo pittorico?
Ascolto ossessivamente da qualche anno, alcune opere (non sto parlando di sinfonie), di diversi autori, non molti in verità. L’energia che sprigionano i suoni e le vibrazioni emesse si fondono con i miei modi e i miei mondi, si accoppiano come in un amplesso totale. C’è molto amore e complicità, spesso. Ogni volta mi sembra di provare nuove emozioni anche se le sonorità sono le stesse del giorno prima.
Sento cosa sta succedendo a livello emozionale, dentro di me, mi aspetto una spinta che smuova la mia energia in un certo sviluppo del fare, cerco di galoppare insieme al corpo sonoro. Quando succede è bellissimo. A volte perdo l’equilibrio e cado… La mano non segue perfettamente il sentiero dell’impulsività. Ci sarebbe bisogno di altri tipi di mondi, l’energia della musica incalza mentre sarebbe bene avere la quiete o viceversa, ma sto dipingendo e non riesco a staccare per cambiare brano o autore. A volte ci si fa del male…
In che modo la musica ha influenzato la tua ricerca, nel corso degli anni?
Credo che tutto sia conforme ad esigenze viscerali, spirituali, essenziali. Un artista non smette mai di lavorare veramente, anche se, come nel mio caso, non ha pennelli o spatole in mano.
La musica, quello che leggo, le immagini di cui mi nutro, le notti insonni o i sogni, anche ciò che ingerisco influiscono sul mio lavoro. Più il tempo passa, più mi rendo conto che tutto in me dovrebbe essere in armonia. Cammino sempre sul filo, l’equilibrio a volte risulta davvero instabile. La visione è costituita da un insieme di impulsi insistenti che si ricorrono tra loro, di cui la musica è parte determinante nel momento dell’azione, ma non è l’unica cosa che influenza la mia ricerca.
Posso solo dire di avere sempre ascoltato musica nel momento della creazione e in alcuni momenti in cui non ho potuto farlo o nel dovere subire musiche che non erano le mie, per esigenze di condivisione degli spazi di lavoro, di aver sofferto moltissimo.
Aggiungo che il mio gusto in fatto di musica si è anche sviluppato attraverso la sua pratica. Ne parlo poco ma dalla fine degli anni ‘90 fino al 2008 facevo parte di alcune band, prima solo come cantante poi come cantante e chitarrista.
Nel caso di una canzone di cui conosci il testo, le parole che ascolti volontariamente o inconsciamente entrano in qualche modo nel tuo operato? Oppure sono solo le sonorità ad accompagnare la tua ricerca?
Spesso solo le sonorità accompagnano il mio viaggio, perché di quello si tratta, quando lavoro bene. Entro totalmente in una dimensione di suoni, forme, colori, materia, però effettivamente anche di parole, che a lungo andare però, diventano suoni… Sono in simbiosi con i soggetti che rappresento, la musica può mitigarne o accentuarne le caratteristiche attraverso l’impulso che ricevo. Sono immerso in un mondo vivace, vorticoso, di vuoti, pieni e respiri.
Se sento improvvisamente un colpo di martello o un cane che abbaia fuori sulla strada, mi spavento e a volte impreco.
Ultimamente i tuoi soggetti rielaborano maggiormente la tradizione figurativa sacra. Anche nella scelta della “colonna sonora” del tuo lavoro si è aperta a sonorità affini, anche antiche?
Le visioni del sacro e quelle del mito sono tra quelle che più ricerco, mi danno stimoli profondi, mi pungolano il cuore. Ho ascoltato in passato musica sacra durante il lavoro, canti gregoriani, lirica, operistica, barocca. I più grandi autori e i meno conosciuti: Mozart, Schubert, Strauss, Stravinskij, e altri.
Ascoltavo contemporaneamente anche musica punk: CCCP, Clash, Dead Kennedys, Ramones, per citarne alcuni. New Wave: Siouxsie and the Banshees, Joy Division, Cure, e altri.
Ho ascoltato anche i primi dischi di Marilyn Manson, Nine Inch Nails, Einstürzende Neubauten, Nick Cave. Lascio indietro molto ovviamente: gli anni 60/70 soprattutto inglesi, band italiane come Marlene Kuntz, Verdena, troppi nomi. Ora mentre lavoro ascolto per lo più: Tool, A Perfect Circle, tutte le sperimentazioni di Maynard James Keenan, ma anche Michael Nyman e non solo…
Puoi fare alcuni riferimenti musicali di una o più tue opere?
Invincible dei Tool ha accompagnato molti miei lavori. Molte opere degli ultimi anni sono state accompagnate dalle sonorità dei Tool, principalmente.
Cosa non ascolteresti mai, nè prima nè durante la tua pratica artistica?
Al Bano!
Con quale musica vorresti essere ricordato?
Se intendi passando a miglior vita: Passenger di Iggy Pop… Cantata da lui! Mi commuoverei dall’aldilà.
Nella foto di copertina: Autoritratto con testa di Seth, 2019