Cura con l’Arte. Se guardiamo all’arte del lontano e recente passato sono diverse le opere che raccontano la malattia. Ma in tempi bui come questi potrebbe essere più apprezzabile scoprire alcuni esempi che si concentrino sull’aspetto della guarigione, o del rapporto con la cura. Ho chiesto a cinque artisti contemporanei di citare il lavoro di un altro artista del passato recente o remoto, scoprendo come le loro scelte abbiano molto da dire sulla loro poetica o sul loro modus operandi. LeoNilde Carabba, Francesco De Molfetta, Pilar Dominguez, Riccardo Gusmaroli, Gio Manzoni.

Cura ad Arte-Abrecht Dürer, disegni con autoritratti giovanili
La cura, non la malattia
Nei numerosi giorni d’isolamento ho visto l’opportunità di un buen retiro di studio e lettura, in preparazione ad un futuro rientro alla normalità. Ed ecco che l’esperienza della solitudine mi ha portato all’incontro con il passato. Sono riaffiorate alcune esperienze della mia vita e ho rivolto il pensiero alle testimonianze artistiche dei secoli scorsi, al patrimonio storico giunto alla nostra epoca e alle mie emozioni.
Mi è sembrato naturale e proficuo rivolgermi a predizioni antiche per ritrovare suggerimenti di rispondenze con quanto stiamo vivendo. Forse la nostra sensibilità è cambiata con i gusti e i mutamenti sociali, ma la nostra biologia è la stessa di duemila anni fa. Come allora ci ammaliamo, come allora cerchiamo una cura ai nostri mali. Il conforto può venire dalla scoperta dei tentativi, non tanto dei successi, dal racconto di una comune aspirazione al superamento di una condizione.

Cura ad Arte. Francesco Hayez, Autoritratto in un gruppo di amici,1824 ca. Opera conservata nella Casa Museo Poldi Pezzoli
Dal Poldi Pezzoli online un ritratto che celebra la guarigione
Cercare di nutrirmi di vita e arte del passato curiosamente mi ha riportato al web, per partecipare ad una visita virtuale della Casa Museo Poldi Pezzoli. Ho avuto un’illuminazione: un autoritratto giovanile di Francesco Hayez, che non ricordavo. Mi ha regalato un’immagine di gioia, apprendendo che il dipinto fu realizzato per festeggiare un incontro dopo una malattia dell’artista. Non so se per la freschezza del non-finito, per le pose naturali degli amici artisti e letterati attorno alla figura, rappresentazione intima per l’originaria funzione privata, ma trovo l’opera così attuale nel celebrare la cura di un male nell’amicizia. Lo stesso desiderio del 2020.
E oggi? Quali potrebbero essere delle opere memorabili circa “la cura” o la guarigione? Ecco cinque suggerimenti da cinque artisti, uomini e donne del nostro tempo che si trovano a far i conti con l’epidemia. Sono personalità estremamente differenti tra loro, per la disciplina impiegata, per sensibilità e gusto diversi. Nella loro scelta si legge molto del loro operato, delle proprie influenze sullo stile e sui contenuti delle loro opere, sulla personale concezione della cura stessa.

Cura ad Arte. Damien Hirst, The Void, 2000. Volti riflessi
Damien Hirst- The Void (2000). Francesco De Molfetta
L’artista vide dal vivo l’opera The Void in Biennale a Venezia, ormai un ventina d’anni fa. “Una superficie verticale specchiante, racchiusa da una gelida cornice cromata, illustra un campionario di pillole multicolore e multiforme, come fosse un espositore medico in un laboratorio di analisi. Le cromie e la foggia delle piccole capsule disposte in maniera equidistante l’una dall’altra a mo’ di codice binario, risultano nella visione d’insieme come un giganteso “mandala”, un’astrazione ritmata, un evento di Arte programmata.
The Void si pone in una posizione critica nei confronti della tematica della cura. I farmaci rappresentano realmente una cura? In questo contesto appaiono depauperati della loro valenza terapeutica per essere valorizzati solo per la loro materia, catalogati come le ricerche di un entomologo.
Un continente incontenibile di contenitori contenenti una cura per il contagio. Tutto l’archivio immacolato è infatti preservato sotto vetro, asettico, irraggiungibile, quasi inservibile per non intaccarne il ritmo, per non alterarne l’impeccabile composizione. Mi ricorda la tracciatura che fece Alighiero Boetti dei fiumi più lunghi del globo, disposti in una lista con valori decrescenti. L’archiviazione di rilievi avulsi dal contesto ambientale come la rigida e artificiosa raffigurazione delle pose in un museo di Storia Naturale.

Cura ad Arte. Francesco De Molfetta tra le sue opere. Courtesy F31
La vanità di una cura
L’unico elemento di umanità in questo paesaggio sono le figure che contemplano l’opera stessa, coloro che si specchiano ritrovandosi anamorficamente il volto incastonato tra gemme di antipiretici e analgesici. La forma umana che interrompe l’iter meccanicistico ostinato della sequenza algebrica.
La cura è in qualche modo un ricominciamento, un prendere sottobraccio il tempo, abitarlo con una finalità di ripristino di equilibrio(o disequilibrio ); è la risultante di un atto volontario, consapevole , intenzionale, lucido. Ci si impone con la presunzione di riuscirci,si agisce con atteggiamento bellico volto a sconfiggere.

Cura ad Arte. Damien Hirst, The Void, 2000. Dettaglio
Ecco in The Void ( che tradotto risulta causticamente “il vuoto”), trovo illustrata la vanità di una cura, nell’ estetizzazione di un trattamento in cui prevale lo strumento sul compimento del rimedio. Forse l’ineluttabile certezza che l’uomo abbia una cura farmacologica per silenziare ogni sintomo e non abbia in fondo la cura per nulla. In effetti cosa si riesce davvero a curare? Si procrastina, si rimanda , si agisce sull’incedere del tempo, si può solo differire la vita perchè giunga il più tardi possibile il suo congedo. Vi è una cura per la cura? Scegli la tua pillola”.

Cura ad Arte. Nella cappella aconfessionale di Rotchko, Houston
Mark Rothko-Cappella Rothko a Houston (1964-1971). LeoNilde Carabba
Secondo la visione della pittrice la cura del corpo non è separata dalla cura della psiche, la guarigione può davvero arrivare attraverso l’espressione della spiritualità che è una forza innata nell’uomo. L’arte è un canale per la liberazione di tale forza, faticosa o impensabile nel suo affiorare per taluni, più naturale o consapevole per le menti più allenate alla trascendenza. In ogni caso in processo di ricongiungimento con l’Universo stimolato dall’arte è benefico per ogni uomo.
“In tema di cura ho pensato subito alla cappella Rothko a Houston, Texas. E’ la sintesi più alta di una spiritualità, direi Zen, che induce chi ha l’opportunità di essere lì a meditare sul senso della Vita, anche se non è una sua pratica usuale. Voglio dire che il Senso del Sacro è Presente e dove il Senso del Sacro è presente la Cura ha luogo che uno ne sia consapevole o no.
Cito Mark Rothko dal volume a cura di Jacob Baal-Teshuna: Il fatto che alcuni uomini dinanzi ai miei quadri crollino e si mettano a piangere dimostra che io sono in grado di dare espressione alle fondamentali sensazioni umane.”

Cura ad Arte. LeoNilde Carabba al lavoro. Courtesy Serena Francone
Joseph Beuys-Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda (1966). Riccardo Gusmaroli
Nell’arte concettuale gli oggetti sono spesso caricati di una funzione metaforica. La manipolazione del reale, la distorsione di senso può essere ironica, pungente, oppure può far riflettere sulla tragicità della condizione umana. Altre volte è la ricombinazione ludica di elementi provenienti da contesti diversi, portatori di esperienze lontane tra loro nel tempo e nello spazio, a creare un unico concetto, a materializzare una visione.
“Joseph Beuys ha realizzato una serie di opere che mi fanno pensare la cura come una necessità di protezione. Tutto ciò che è manufatto nasce per una funzione intrinseca, è pensato e costruito dal designer o dall’artigiano perchè l’uomo possa condurre un’azione attraverso quell’oggetto. Così un oggetto può simboleggiare l’uomo mediante una sua azione. Negli anni sessanta alcuni strumenti musicali, quindi di cultura, sono stati fasciati da coperte con una evidente croce rossa da Beuys.

Cura ad Arte. Joseph Beuys, Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda, 1966
L’operazione per me rimanda ad un senso di tutela, di protezione del corpo da eventi traumatici, forse di salvezza. L’artista aveva studiato medicina ed arruolatosi nella Seconda Guerra Mondiale, aveva vissuto un’esperienza traumatica quando il suo aereo fu abbattuto. Si salvò dal congelamento solo cospargendosi il corpo di grasso. Anche grasso e cerotti hanno avuto una funzione simbolica salvifica, nelle sue “azioni”.
La genialità o tenerezza delle sue “azioni” non fu sempre compresa, come accadde con la piccola vasca da bagno-scultura incerottata e piena di garze e grasso per la mostra “Realität- realismus- Realität”, che fu ripulita a lustro dagli inservienti!”

Cura ad Arte. Riccardo Gusmaroli al lavoro. Courtesy INDART
Vincent Van Gogh- Terrazza del café la sera ( 1888). Pilar Dominguez
L’incisore e pittrice, docente di Teoria del Colore, ha dovuto affrontare diversi momenti difficili e di rallentamento delle quotidiane attività a causa di problemi di salute, tra cui la caduta da un ponteggio durante la realizzazione di un murale. “In quei momenti ho realizzato che nella vita una cura esiste sempre, spesso aiutata nel suo processo dal saper prendere una decisione ferma. Mi ha sempre aiutato l’immergermi nell’osservazione dell’opera di Vincent Van Gogh, in special modo mi riferisco al dipinto Terrazza del café la sera.

Cura ad Arte. Vincent Van Gogh, La terrazza del café la sera
Ciò che ritengo davvero curativa è la forza del colore, sia guardandolo nell’insieme che nei singoli dettagli. Ciascun colore ha una percezione sensoriale e una simbologia propria, amplificato dagli accostamenti complementari. Attraverso il nostro sguardo nella vita di ogni giorno lasciarci trasportare nel Croma significa riappacificarsi con le nostre emozioni ma anche facilitare le reazioni del nostro organismo. Sono convinta che l’attività stessa del dipingere, il creare quelle predominanti di giallo e blu per Van Gogh fosse curativo, l’attività creativa restituiva un forte attaccamento alla vita. In quel momento era indubbiamente sano”.

Cura ad Arte. Pilar Dominguez al lavoro per un murale nel 1975
Albrecht Dürer- Autoritratto ( XVI sec.). Gio Manzoni
Il disegnatore attinge tra gli aneddoti del Rinascimento un episodio relativo ad un grande protagonista del segno: Albrecht Dürer(1471-1528). Il disegno inciso, nella stampa su supporto cartaceo, è stato il testimone e messaggero di contenuti alti e bassi, dello scambio di idee tra intellettuali e personaggi religiosi o politici. Fino all’impiego dei caratteri mobili in Europa si spostavano, redatte a mano, le principali informazioni su carta. Anche le opere dei grandi maestri erano note da riproduzioni incisorie, e gli artisti affinavano lo stile, studiavano su quegli esempi. Manzoni ha mostrato divertito come il disegno potesse avere anche una finalità più pratica, indispensabile per un consulto medico.

Cura ad Arte. Gio Manzoni al lavoro. Courtesy Sofia Obracaj
“Comunicare al medico i propri sintomi, anche a distanza, oggi si può: basta inviare una foto, scrivere con whatsapp, messenger, organizzare una videochiamata per i più logorroici.. all’inizio del sedicesimo secolo Dürer lo ha fatto con un autoritratto nel quale indica la parte anatomica dolente, per capire l’origine della sintomatologia e la cura possibile. Il grande pittore e incisore realizzò diversi autoritratti, splendido l’Autoritratto con Pelliccia che risale al 1500. Inoltre in diverse occasioni prestò il suo volto per rappresentazioni sacre, ma in pochi conoscono questo disegno.
Senza dubbio è un documento valido dal punto di vista storico più che artistico, ma è interessante pensare che i grandi geni del passato riescono ancora oggi a farci emozionare con il loro tratto, pur nella quotidianità del messaggio. Ricordo anche altri disegni giovanili dove l’artista preme la mano sulla guancia dolorante, quella mano che ho amato e citato in alcuni miei lavori è posizionata come quella dell’Angelo pensoso nella celebre acquaforte Melancholia (1514)”.
Michela Ongaretti

Cura ad Arte. In un autoritratto Dürer indica un punto dolente