Marrakech, aeroporto. Arrivare qui è sempre un’emozione ambivalente. I ricordi di eventi accaduti venticinque anni fa, che hanno profondamente segnato la mia vita, si mescolano con la sensazione di un luogo che tuttora sembra custodire un significato particolare nel mio percorso. Questa città mi riporta a una sensazione stranamente familiare, ricca di possibilità reali e di un grande senso di spazio, sia interiore che esteriore.
A Marrakech, mi sembra ancora possibile essere veramente se stessi, guardandosi con occhi sinceri. Nonostante la città sia un centro internazionale, conserva una dimensione a misura d’uomo, che la rende ideale per il panorama delle fiere d’arte.

Dal 30 gennaio al 2 febbraio 2025, ha ospitato la sesta edizione della 1-54 Contemporary African Art Fair, un evento che unisce i 54 paesi del continente africano, dedicato all’arte contemporanea africana e alla sua diaspora, lanciata nel 2013 da Touria el Glaoui, figlia di Hassan, uno degli artisti più famosi del Marocco. La fiera si propone di dare visibilità all’arte africana, spesso trascurata nel panorama internazionale. Sedi principali della fiera, nel cuore del centro cittadino, sono state lo storico hotel La Mamounia e Dada, uno spazio artistico multidisciplinare situato nella Medina di Marrakech, che si affaccia direttamente sulla famosa piazza Jemaa el-Fna.
L’edizione del 2025 ha visto la partecipazione di oltre 30 gallerie provenienti da 14 paesi, con una forte rappresentanza di gallerie africane.

A differenza delle grandi fiere internazionali, la 1-54 Marrakech, con le sue dimensioni raccolte e il ritmo particolare della città, favorisce connessioni autentiche e una comprensione più profonda delle opere. Il suo ambiente intimo trasforma l’evento in un momento di incontro e riflessione sull’arte, oltre la dimensione commerciale. Si respira un desiderio di raccontarsi e conoscersi che non ho mai sperimentato altrove. Forse è anche merito del contesto: fuori dagli spazi ufficiali, ci si perde nel dedalo della Medina, inseguendo eventi paralleli e lasciandosi trasportare dal caso, aprendosi spontaneamente al dialogo e alla scoperta.
Talk, conferenze e spazi espositivi diffusi hanno arricchito l’evento. Nei Riyad, negli spazi multidisciplinari e nelle gallerie aperte per l’occasione si sono intrecciate culture, incontri di artisti, curatori e creativi – molti della diaspora africana – che hanno trovato a Marrakech un linguaggio condiviso, fatto di energia e scoperta. Essere presente nella doppia veste di giornalista e artista mi ha permesso di osservare le opere degli artisti in mostra da una duplice prospettiva, sia dall’interno che dall’esterno,
offrendomi l’opportunità di mettere in relazione il mio percorso di ricerca con il loro e scoprendo valori che ci accomunano.

La Mamounia
Girando per gli stand mi è subito chiaro che non c’è una tecnica o stile che domini la fiera. Essendo per lo più lavori di residenti o di artisti della diaspora, la narrazione è molto concreta: si sentono le radici, si respira la terra e la realtà di un luogo in cui arte e artigianato si compenetrano. Nelle opere in mostra si trovano echi universali, che rivelano come questa connessione sia ancora viva e significativa, considerando anche l’influenza che l’arte africana ha avuto in movimenti artistici globali.
Tra i progetti speciali della fiera i lavori di Amina Benbouchta, risultato della sua residenza indiana alla Fondazione Kalhath, in cui l’artista esplora le connessioni culturali e le narrazioni di genere attraverso il medium del ricamo. I suoi lavori erano anche esposti al Ryad Izza nella mostra collettiva Ligne(s) du désir. Una delle gallerie commerciali più importanti del Marocco, la Loft Art Gallery, con sedi a Casablanca e Marrakech, ha esposto lavori di Nassim Azarzar, Samy Snoussi, Bouchra Boudoua e Amina Agueznay, anche lei presente al Ryad Izza. Loft ha inoltre curato l’installazione di Bouchra Boudoua presso El Fenn, il concept store di Vanessa Branson. Boudoua ha studiato al Central St Martins College of Art and Design di Londra, prima di tornare in Marocco, dove sta integrando l’artigianato marocchino e l’argilla nel suo lavoro artistico.

La galleria marocchina Abla Ababou ha portato quattro artisti: Noureddine Amir, Hakim Benchekroun, Ilias Selfati e Fatiha Zemmouri, definiti dalla gallerista “l’avanguardia della scena artistica marocchina”. Particolarmente impressionante i lavori in mostra di Fatiha Zemmouri, Habiter la terre e Fields, realizzati con argilla e catrame. L’artista, in generale, crea installazioni
evocative di una bellezza e potenza straordinaria. Particolare menzione secondo me meritano le fotografie di Malick Welli presentate dall’Atelier 21. Senegalese di Dakar, lavora tra arte, fotografia e installazione. Esplora dualità, spiritualità, memoria e identità, indagando il rapporto tra religione, economia e potere.
Due le italiane presenti. La galleria Canepari, da pochi anni affacciatasi al panorama africano, e la galleria Primo Marella che da tempo si occupa di arte africana. Tra gli artisti rappresentati nel suo stand, l’artista Hako Hankson, che ha esposto alla Biennale di Venezia del 2024, nel padiglione del Camerun.

DADA
Molto più contenuto lo spazio Dada ha ospitato comunque artisti e progetti di grande interesse. Uno tra tutti il Nigeriano Kingsley Ayogu che, presentato da The African Art Hub (TAAH), ha portato un potente lavoro sul lutto, Intimacy of Memory: A Journey Through Grief.
Le installazioni si sono ispirate al memoir Notes on Grief di Chimamanda Ngozi Adichie, con un linguaggio visivo che intreccia astrazione e simbolismo, e rappresenta la memoria come qualcosa di sfuggente e mutevole.
Le sue opere evocano il confine sottile tra presenza e assenza, trasformando il dolore in un’esperienza condivisa. Elementi ricorrenti come reti e spugne africane assumono valore metaforico: le reti simboleggiano la complessità del ricordo, mentre le spugne rappresentano guarigione e identità culturale. L’installazione sospesa nello spazio espositivo invita il pubblico a
un’esperienza immersiva, in cui i dipinti sembrano fluttuare, come ricordi. Per Ayogu, il processo creativo è una forma di meditazione. Descrive la pittura come uno stato di trance, in cui le opere sembrano emergere spontaneamente, guidate da energie invisibili.

Reduce da un anno di lutti, la sua opera con i suoi colori vibranti, mi ha toccata nel profondo. In questa visione, la morte diventa trasformazione, continuità.
Nelle sue reti tessili colorate, sovrapposte in strati, ho intravisto una somiglianza con gli acchiappasogni, che qui sembravano quasi acchiappafantasmi: strumenti per trattenere ricordi, o meglio, presenze. Presenze di chi ha abitato il nostro cuore e continua a farlo. Disponibile a raccontarsi, Kingsley mi ha svelato che il suo lavoro è nato per affrontare, per la prima volta, la perdita di suo fratello, scomparso quando lui era ancora bambino. Mi ha raccontato della connessione con L’Alchimista di Coelho e di come quella visione spirituale risuoni profondamente con la sua esperienza.

Ci siamo scambiati brevemente il racconto dei nostri lutti, con la consapevolezza condivisa che nulla è davvero perduto. Kingsley, posandomi le mani sulle spalle, ha ripetuto con gentilezza: “Loro sono sempre con te.”
Con l’intento di rendere l’esperienza condivisibile, ispirati da Notes on Grief di Chimamanda Ngozi Adichie è possibile condividere riflessioni personali sulla perdita e la memoria scrivendo a questa pagina https://taah.co.uk/notes-on-grief .
Interessante anche il progetto speciale per la 1-54 Marrakech del Tanger Print Club, che ha presentato una selezione di artisti come Laila Hida, Yto Barrada, Anuar Khalifi e Omar Mahfoudi.
Fondato da Think Tanger, questo studio si dedica alla serigrafia, offrendo uno spazio collaborativo per sperimentare e innovare nel campo della stampa. Lavorando con artisti emergenti e affermati, gallerie, musei e spazi indipendenti, la sua missione è promuovere un’economia circolare nell’arte e ispirare una nuova generazione di collezionisti, sostenendo pratiche editoriali indipendenti.

Come dicevo, fuori dai luoghi preposti per la fiera, si sono accavallati eventi, incontri e mostre di grande interesse, spesso in luoghi di grande fascino, come Ryad Alena.
Si tratta di un boutique hotel situato nella Medina di Marrakech, che nel 2024 ha inaugurato il programma di residenza per artisti Ryad Alena Artist Residency (RAAR) con il tema “Home from Home”. Questo programma invita artisti locali e internazionali a esplorare il panorama culturale di Marrakech, utilizzando il Ryad come base e fonte d’ispirazione.
In occasione di 1/54, RAAR ha presentato “When the Sea is Gone” di Amine Lahrach e Benjamin Verhoeven, giovane duo artistico marocchino-belga che opera tra Marrakech e Bruxelles.

Attraverso il loro lavoro visivo, indagano i confini dell’identità, dello scambio culturale e dell’immaginario interculturale. Uno degli elementi centrali del loro progetto è la riflessione sulla disparità di diritti tra i loro passaporti: Benjamin, con il passaporto belga, può viaggiare liberamente, mentre Amine, con quello marocchino, incontra restrizioni. Da qui nasce il loro dialogo artistico, che trova nella videocamera il principale strumento di scambio.
L’installazione comprende un video, una varietà di piastrelle di cemento stampate con la tecnica della cianotipia e un’opera metallica in situ, posizionata nella cornice aperta del Riad, verso il cielo. Questa scultura rappresenta la rotta migratoria di una cicogna tra Belgio e Marocco, un percorso tracciato unicamente da confini naturali.
Nel parco naturale belga Het Zwin, il Project Ooievaar traccia la migrazione delle cicogne. Una in particolare è stata seguita fino a Marrakech, attraversando Madrid, Tarifa, Kenitra e lo Stretto di Gibilterra, ponte tra due continenti e due mari. Da questa rotta, Benjamin ha disegnato un motivo arabesco sulla mappa, cercando una geometria che simboleggiasse questa connessione tra terre e culture. Ne è nata la forma del Khatem, un simbolo composto da due quadrati intrecciati, poi integrato nella struttura metallica. Quest’opera sospesa tra cielo e terra riflette il tema centrale della mostra: il viaggio, le connessioni invisibili e la ricerca di un’identità condivisa.

Il progetto Zawya nato nel 2018 su iniziativa dell’ONG Afrika, è operativo dal 2021 con l’associazione no-profit Afrika-Maroc. Offre opportunità di formazione e lavoro ai giovani attraverso atelier di arte, artigianato, fotografia e video, valorizzando il patrimonio locale.
Ho incontrato Nicole Valenti sulla terrazza del ristorante di Zawya in una mattinata di sole. Designer e creativa, nonché direttrice vendite e marketing del progetto, a cui si dedica insieme ad altri collaboratori e fondatori, trasmette una grande determinazione e un’adesione totale alla sua visione. Quella mattina molte persone passano a salutarla, si presentano per parlare con lei, conoscere il progetto e capire come aprire strade per collaborare. Io sono una di loro.
La qualità che più mi attrae di questo progetto è la sua capacità di mettere insieme due ambiti: quello dello sviluppo socio-economico, legato all’inclusione e all’educazione scolastica, e quello dell’arte e della bellezza. Essendo anche la mia ambizione, e avendo spesso trovato difficoltà nel conciliare questi mondi, guardo con ammirazione al risultato ottenuto.

L’edificio ha tre piani: al piano terra un negozio con i loro prodotti, al secondo uno spazio per i corsi e all’ultimo un cafè ristorante panoramico che offre ottimi piatti tipici.
Il progetto si è ampliato nelle botteghe vicine, contribuendo alla rinascita di Zaouia El Abassia, quartiere nella Medina di Marrakech. Sono attivi quattro negozi-laboratori di Zellijes, tessere di ceramica che compongono un mosaico, pelle, ceramica e metallo, dove i giovani, guidati dai Maalem, maestri artigiani, realizzano oggetti interamente a mano. Fonoun Zawya, laboratorio e spazio espositivo delle opere dei giovani, è anche un punto di riferimento per la letteratura dedicata alla storia, alle tradizioni e alle tecniche artigianali del Marocco. Un luogo di connessione tra arte e cultura, tra il sapere artigianale e il design contemporaneo, tra la tradizione e il futuro, tra Africa e Europa. Visitatori, artisti e autori sono i benvenuti per scoprire Zawya, valutare opportunità di lavoro, partecipare a scambi culturali e approfondire l’artigianato marocchino. Per maggiori informazioni visita il sito https://www.zawyaty.com/

Personalmente, torno dall’esperienza a Marrakech con la consapevolezza di quanto le radici di quella terra siano anche le mie.
Questa chiarezza mi da direzione. Dopo aver riconosciuto antiche pratiche e connessioni, mi sento più certa nel proseguire la mia ricerca di radici profondamente spirituali e universali, quelle che ci legano alla Madre – terrena e divina – che abita in ognuno di noi, indipendentemente dalla forma, maschile o femminile, che scegliamo di essere.
Paki Paola Bernardi