Giosetta Fioroni è l’artista che ci muove verso una visita, su prenotazione e in tutta sicurezza, presso lo Studio d’arte Cannaviello. E’ l’occasione per analizzare il percorso di una personalità di spicco dell’arte contemporanea italiana, che si snoderà in due mostre. Ed è ancora un tuffo nella storia della galleria.

Giosetta Fioroni, Costume da bagno, 1965
Una carriera in due tappe
La prima esposizione su Giosetta Fioroni, inaugurata il 25 febbraio, è concentrata sulla ricerca tra anni ’60 e ’70. Proprio la collettiva inaugurale della galleria nel 1969, nella sede romana che allora si chiamava “Oggetto”, includeva le opere dell’emergente nota per la sua declinazione personalissima della pop art. Sarà nel 1972 che lo studio d’arte Cannaviello investirà sul suo talento presentandolo al pubblico nella più ambiziosa mostra “A nove anni”.
Le celebrazioni della carriera dell’artista romana proseguiranno a settembre, nel clima festoso della nuova stagione espositiva e del rinnovo di sede per Cannaviello.

Giosetta Fioroni, Narciso politico,1968. Fronte e retro del dipinto. Courtesy Studio d’Arte Cannaviello
Rinnovamento di spazi e contenuti
Nel corso dei decenni ai cambiamenti di sede della galleria hanno corrisposto mutamenti di direzione nella selezione degli artisti. Ultimamente l’attenzione si è rivolta soprattutto a giovani talenti italiani e internazionali, con alcune esplorazioni nei tesori storici, mostre di personalità mature o storicizzati già rappresentati in passato come Hermann Nitsch, Martin Disler, Pizzi Cannella. Ora Giosetta Fioroni, con la sua doppia mostra su diversi periodi della sua carriera, rappresenta un ponte verso la futura programmazione. Legata al passato, presente e futuro del gallerista di cui Artscore.it ha avuto modo di raccontare la genesi curatoriale.

Giosetta Fioroni, Villa 3, 1960
Giosetta Fioroni artista resistente
Come possiamo non definire resistente la natura artistica di Giosetta Fioroni? Ha continuato a produrre per tutta la sua esistenza, spaziando dalla sperimentazione pittorica, alla scultura e al collage, dai teatrini in ceramica alla performance. Aveva ben ottant’anni quando ha prestato idee, volto e corpo per il progetto artistico L’altra ego, con il fotografo Marco Delogu. L’omonima mostra al Macro del 2012 raccoglieva le foto con l’artista in un travestimento diverso per ogni set, rappresentando molte personalità femminili iconiche, dalla Madonna alla prostituta.
“L’idea di bloccare l’immagine che alludesse ad un’altra identità divertiva entrambi. Io ho una natura eclettica, ho fatto una gran quantità di esperienze in molte direzioni.”

Giosetta Fioroni in una foto del progetto L’altra Ego. Ph. Marco Delogu, 2012
Un episodio ad inizio carriera dimostra la sua tenacia: a Milano un collezionista interessato ad acquisire diversi suoi lavori lesse la firma, Giosetta, un nome femminile. Disse che non era interessato alle opere di una donna, perchè poi si sarebbe sposata, avrebbe avuto figli, insomma non avrebbe avuto una carriera. In quel momento Fioroni capì il terribile pregiudizio che avrebbe dovuto superare. Ricorda lei stessa in una videointervista rilasciata a Sky Arte, che gli avrebbe dato un calcio in faccia. Non lo fece ma fu subito certa che nessuno l’avrebbe fermata.
Con la gentilezza della sua poetica, accogliendo i sentimenti nelle sue opere, gli affetti famigliari, l’incanto della fiaba e la preziosità di un giocattolo accanto alla solitudine della vita rurale e al teatro delle memorie. Tante identità diverse, compongono una visione personale aperta alla continua sperimentazione: con le fate e con i mostri descritti da Maurizio Calvesi.

Giosetta Fioroni. Bambini,1961.
Una vita nell’arte contemporanea
Giosetta Fioroni ricorda volentieri di aver avuto un “background speciale” per la sua vocazione alla pittura. Proviene infatti da una famiglia di artisti: il padre era uno scultore e la madre pittrice e marionettista. All’accademia di Roma Fioroni ha come maestro Toti Scialoja e conosce i grandi artisti romani dell’epoca. Partecipa alla Biennale di Venezia già nel 1956, ma sarà quella del 1964 l’occasione fondamentale per la sua carriera e in generale per l’influenza che la pop art avrà sugli artisti italiani ed europei. Calvesi infatti riunisce i giovani italiani e chiama gli esponenti americani, premiando Rauschenberg.
Ad oggi non si può definire propriamente pop la produzione italiana, ma tra le varie forme artistiche che il pop ha stimolato, quella degli Argenti recupera la proiezione fotografica sulla tela prima di tracciare il disegno di immagini figurali schematiche, sintetiche. Quelli della Fioroni sono volti emblematici come quelli di Warhol ma non sono semplici icone, rappresentano dei sentimenti impressi sulle fattezze femminili.

Giosetta Fioroni, Liberty bicolore, 1969. Courtesy Studio d’Arte Cannaviello
La pittura a Roma
Attorno alle gallerie più importanti come la Tartaruga e la Salita, con la Fioroni unica donna nel gruppo di giovani come Festa, Schifano, Mambor, Tacchi, Ceroli, Lombardo, Roma diventa la meta di tanti protagonisti gravitanti nel mondo dell’arte contemporanea. Divenne centro di scambio internazionale, tra l’Italia, la Germania, e gli Stati Uniti, soppiantando Parigi.
In questo contesto, tra gli artisti della Scuola di Piazza del Popolo Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa, che allora imperavano, il giovane gallerista Cannaviello fu interessato al lavoro della Fioroni. “Apprezzavo, allora come oggi la delicatezza del suo lavoro, l’uso del “non colore” argento e le immagini che creava. Ritengo che oggi la sua opera si inserisca perfettamente nella grande pittura europea. Anche i suoi lavori attuali conservano alcune forme degli esordi. E’ un pittore (come direbbe lei, rifiutando la parola “pittrice”) che è rimasta fedele a se stessa in tutta la sua carriera, con uno stile inconfondibile. E questo credo sia importante e mi dà la conferma che nel ’69 avevo visto giusto”.

Giosetta Fioroni. Abbraccio, 1965
Argenti: diapositive di sentimenti
In questa prima mostra, sono esposte più di 20 opere, tra carte e tele di medie dimensioni, realizzate da Giosetta Fioroni al rientro a Roma da un lungo soggiorno a Parigi. Argenti: diapositive di sentimenti fu il titolo che il letterato e compagno di vita Goffredo Parise trovò per questi lavori.
L’unico intervento pittorico sulla tela o sulla carta è caratterizzato dal grigio argenteo dello smalto di alluminio che si accosta a segni di matita. Sono figure quasi sempre femminili, spesso iconiche come personaggi del cinema, oppure momenti di gioco infantile, ad essere rappresentate in maniera sintetica, frammentata secondo alcuni dettagli interrotti.
I volumi sono definiti dalle ombre in relazione al bianco, al vuoto sulla tela straordinariamente trasformato in spazio che rivela aperture di significato. L’isolamento dei soggetti nello spazio senza colore fa assumere loro le sembianze di apparizioni in negativo, come in fugaci occhiate a pellicole riscoperte, sublimate da una patina argentata che dona un tocco prezioso, talvolta glamour.

Giosetta Fioroni, Bambina, 1969. Dettaglio
Tra figurazione e astrazione
La pop art, che si presenta prepotentemente con la Biennale del 1964 organizzata da Leo Castelli è l’arte della società di massa, dei consumi, che noi possiamo osservare solo dopo la ricostruzione. E’ anche caratterizzata dalla figurazione, che in Europa si riaffaccia dopo vent’anni di astrazione, scomparsa con il crollo delle dittature come per una sorta di damnatio memoriae dell’imposizione figurativa, finalmente richiamando in causa anche le avanguardie storiche.
Negli anni sessanta la figura torna in primo piano attraverso nuove tecnologie come cinema e televisione, esse modificano il modo di guardare. Giosetta Fioroni si dimostra particolarmente sensibile al loro impiego per la creazione delle sue immagini: “a me interessava una cosa semplice, l’idea di una certa narrazione legata ad un’immagine cinematografica che si ripete”.

Giosetta Fioroni fotografa la modella davanti ad un suo dipinto. 1968. Ph. Elisabetta Catalano
All’epoca l’artista è spesso ritratta con la macchina fotografica. Il lungo processo di Giosetta Fioroni partiva proprio dalla foto che traduceva in diapositiva, in seguito proiettata sulla tela. Con la matita tracciava il contorno dell’immagine, spesso ripetuta spostando o inclinando il proiettore: essa risulta così sfasata nella dinamica della ripetizione, creando un effetto di confusione percettiva. Il risultato è così “oggettivo e antinaturalistico” al contempo secondo la lettura di Vivaldi: attraverso la rielaborazione fotografica i dati sensibili vengono ricostruiti mentalmente. L’artista agiva sulla memoria di quei dati, facendo affiorare i sentimenti che li muovono.
Ma la fascinazione degli Argenti di Giosetta Fioroni viene anche dal mistero di figure rivelate e decostruite al contempo. Nel 1965 Gillo Dorfles parla di parla di “dilatazione spaziale tale da trasferire lo spettatore entro un’ambigua dimensione, dove l’immagine ora si trasforma in arabesco ora ridiventa vitale presenza e racconto”. L’osservazione resta dolcemente in bilico tra le due componenti, dove l’arabesco è di fatto astrazione quasi decorativa e il racconto si snoda sulle tracce della figura.

Giosetta Fioroni, Nascita di una Venere Op, 1965
Il tempo della modernità attraverso la storia dell’arte
La dialettica tra linee astratte e figura definita dallo smalto argenteo ci porta verso la fruizione temporale dell’opera. Nella serie di notano anche riferimenti a composizioni desunte da celebri immagini della Storia dell’Arte, soprattutto rinascimentale.
Se guardiamo l’interpretazione che Giosetta Fioroni fa di Botticelli con Nascita di una Venere Op. ( 1965), notiamo come ciò che si mantiene è il rapporto spaziale tra la silhouette e gli elementi attorno ad essa. Però la temporalità dell’immagine di Botticelli è data dalla prospettiva, dove si legge per prima ciò che sta più vicino all’occhio. Qui la profondità è resa dalle distorsioni percettive optical, infatti la struttura del dipinto richiama (volutamente) quella di un disegno di Bridget Riley dell’anno precedente, esaltata in maniera concomitante della doppia geometria di tracciati bianchi e grigi. Il bagliore temporale e spaziale viene fruito in un tutt’uno come la velocità di un fotogramma, ma già secondo l’estetica postmoderna del frammento.
Michela Ongaretti