Milano si sa non è una città fatta solo dai milanesi, anzi la sua forza si basa anche sui talenti che sono stati accolti da fuori, e che l’hanno conformata nel suo primato italiano nell’ambito dell’arte e della cultura, della moda e del design. Enzo Cannaviello fa parte di questi.
Uno dei galleristi storici italiani, protagonista del sistema dell’arte dagli anni sessanta, il suo percorso di scopritore di artisti in seguito affermati è stato testimone di diversi cambi di sede e di scenario nella nostra penisola, con un’identità forte costruita e mantenuta nel tempo.

Un ritratto di Enzo Cannaviello nella galleria di Piazzetta Bossi a Milano, ph. Sofia Obracaj
Partito da Capua con la mostra Ricognizione ‘68 presentata da Achille Bonito Oliva, al suo debutto di curatore, con Lucio Amelio aprì a Caserta la prima galleria Oggetto dove espose Mimmo Paladino per la prima e seconda personale. Dopo sei anni intensi nella capitale, agitando pubblico e critica intorno alla Transavanguardia, è sbarcato a Milano nel 1978 con la prima sede in piazza Beccaria da dove promosse primo in Italia il Neoespressionismo Tedesco, poi in via Cusani per passare in via Stoppani a Porta Venezia. Da alcuni anni lo possiamo incontrare, con un nuovo impulso verso l’arte giovane, in Piazzetta Bossi, sempre nel cuore storico della città.
Dopo la visita alla mostra di Martin Disler ho voluto intervistare Enzo Cannaviello per conoscere meglio la visione e gli intenti di chi ha visto da dentro il mondo dell’arte contemporanea degli ultimi quarant’anni con i suoi slanci e le sue crisi, la sua percezione nel gusto dei collezionisti, operando scelte spesso lungimiranti, sempre riconoscibili.
Se la maggior parte degli approfondimenti di Artscore si cala nei panni vista di chi produce arte, oggi indossa un paio di occhiali diverso, quello di chi promuove e vede circolare quel talento.

Intervista ad Enzo Cannaviello, foto delle collaborazioni storiche del gallerista. In alto si nota Martin Disler, ph. Sofia Obracaj
Vorrei partire dall’inizio della sua carriera, ricordandone le prime tappe
Entrai nel mondo delle gallerie quando moglie si dilettava di pittura e la mia prima fu a Caserta con Amelio prima di Roma, dove inventai una strada di editoria artistica con Ellegi Edizioni,di cui ero amministratore delegato. Era per me un periodo di formazione, mi piaceva fare molte cose. Poi aprii la prima galleria, c’erano nove soci e si chiamava Seconda Scala perchè era la seconda scala nel cortile del un palazzo del Teatro Argentina, iniziai da direttore e dopo due o tre anni mi misi in proprio.
Trattava artisti della transavanguardia?
Si pensi che ho fatto la prima mostra di Fabio Mauri, che ora è molto quotato, Bernar Venet, Giosetta Fioroni e altri artisti importanti che allora ovviamente non erano famosi.
Da Caserta a Roma, ma il salto di qualità vero e proprio è avvenuto nella terza galleria a Milano, che prende il nome ufficiale di Studio d’Arte Cannaviello nell’anno artistico 1977-78.
Io non ho mai fatto questo lavoro per guadagno ma a Roma purtroppo il mercato era davvero carente, Seconda Scala crebbe con un programma molto importante ma ero costretto a venire una volta al mese a Milano per vendere delle opere, perciò decisi di trasferirmi.

Enzo Cannaviello posa con Mimmo Paladino. Tra le foto storiche sulla parete della galleria odierna di Milano, ph. Sofia Obracaj
Il mercato a Roma non funzionava perchè la città era troppo “ministeriale”?
Roma non era sostenibile come mercato e tutt’ora non lo è. Non c’è un professionismo nel collezionismo, si compra per altri motivi fuori dal piacere dell’arte, per amicizia, o perché il quadro piace all’amante… quindi nelle case ci sono opere ma solo per caso fortuito.
A Milano già nel 78 avvenne l’incontro con l’espressionismo tedesco?
Fu un’ulteriore svolta nel mio lavoro. Accadde un fatto celebre che già raccontai in altre interviste: un giorno venne un’artista da Berlino, Hella Monterossa. Allora ci si chiedeva sempre cosa potesse succedere in quella città divisa dal Muro quindi mi informai e lei mi parlò di un gruppo autogestito di artisti berlinesi chiamati Neue Wilden, cioè Nuovi Selvaggi, che facevano una pittura violenta con colori accesi, una specie di nuovi Fauve. Mi incuriosì moltissimo perchè si proveniva da un periodo dove tutto era concettuale: questa pittura così violenta era una rivoluzione io presi subito l’aereo per scovare questo filone che mi accompagnò fino alla poco anni fa.
Martin Disler rappresenta la componente svizzera, questo Neoespressionismo non era chiuso alla Germania ma di tutta l’area germanofona, di cui la componente austriaca era molto forte con Nitsch, Maria Lassnig, Günter Brus. Ho seguito loro prevalentemente, ma non unicamente, infatti ho trattato artisti italiani come Pizzi Cannella, Nunzio, Rotella, Boatti.

Tra le foto storiche del gallerista Enzo Cannaviello a Milano, le sculture di Martin Disler, ph. Sofia Obracaj
Lei portò a Milano Hermann Nitsch. Cosa accadde e come reagì il pubblico?
Con Nitsch in via Stoppani ci fu solo la performance di inaugurazione. C’erano tre tavoli grandi su cui era apparecchiato di tutto, frutta pesci, viscere di animali..lui girava tra questi e impastava questi elementi..era di una violenza fortissima! A intervalli regolari suonava un gong per il quale avevamo dovuto affittare una scala. Hanno fatto anche un film che però non rende al massimo l’idea. Lui ha sempre avuto successo infatti c’era molta gente.
Ad attività performative magari discusse ne conseguì un interessamento di critici e curatori verso la galleria?
Le avanguardie sono sempre dure da digerire. Oggi vedendo è più facile interessarsene perché è già quasi storia ma allora era molto difficile, però c’era un’attenzione maggiore di oggi. A parte l’aspetto venale del collezionismo, c’era più partecipazione del pubblico.

Una foto ritrae Hermann Nitsch nello Studio d’Arte Cannaviello in via Cusani a Milano. ph. Sofia Obracaj
E’ cambiato anche il collezionismo?
Si, è speculativo. All’epoca si discuteva nelle gallerie non si trattava nelle fiere. Il collezionista si sedeva di fronte al gallerista che spiegava la mostra dell’artista, gli andamenti del mercato ma era un discussione con una componente culturale, indispensabile anche per vendere..lo dice un gallerista e un mercante! Oggi si contano molte aste e fiere, vi si va per vedere i prezzi e le confrontarli tra le opere, è un fatto meramente economico a cui ho deciso di non partecipare da cinque anni. Si abitua lo spettatore a ragionare in termini economici e non in termini culturali, cosa che io voglio continuare a fare.

Enzo Cannaviello e Günter Brus a Milano in via Cusani, foto storiche in galleria, ph. Sofia Obracaj
Qual è l’identità che la sua galleria mantiene?
E’ quella di scoprire dei talenti, portarli nel mercato e farli crescere. La mia predilezione riguarda la manualità, praticamente un’opera fatta al computer o filmica a me non interessa perchè c’è il mezzo meccanico, anche se il mezzo meccanico può essere manipolato dall’artista, devo notare un effetto estetico. Non rinuncio all’estetica. Nelle mie scelte artistiche negli anni c’è una continuità: ho fatto sempre arte contemporanea prediligendo sempre la manualità e la ricerca, naturalmente. Ci sono molti giovani oggi, ma l’artista deve inventare un nuovo linguaggio, e se non è così non li seguo.
Per estetica non intende ciò che è formalmente gradevole…
No. E’ un’estetica contemporanea, quella aderente ai tempi nei quali vive l’opera, però sempre unita a questa manualità che sottintende tutte le opere memorabili dei grandi artisti. Se noi prendiamo la graduatoria internazionale Kunstkompass, stilata ogni anno dalla rivista Manager Magazine noi troviamo ai primi dieci posti tutti grandi pittori come Gerhard Richter, Simon Faulkner, Peter Doig, David Hockney perché la manualità è insostituibile nell’opera d’arte come è insostituibile in altri campi e resterà, come si può scrivere un buon romanzo senza conoscere le regole della grammatica e della sintassi? Faccio un altro esempio: quando ci fu l’avvento del cinema esso riuscì a soppiantare il teatro? No,il teatro è vivo e vegeto. Così la tecnologia che oggi è prevalente oggi nel campo dell’arte, non può e non deve soppiantare l’arte, che comunque segue la sua evoluzione.

Un dipinto su fotografia del 1989 di Arnulf Rainer, tra gli artisti dello Studio d’Arte Cannaviello a Milano, ph Sofia Obracaj
Secondo lei stiamo assistendo ad una rinascita del figurativo?
Penso di no in questo momento ma in realtà non ha mai smesso di esserci; nel senso tradizionale del termine non funziona. Oggi si può fare arte figurativa estremamente all’avanguardia, prendiamo ad esempio sempre Richter come massimo esponente, non può essere più figurativo di così con quella luce data dal lume di candela.. però sono quadri contemporanei perché è il taglio contemporaneo, che deve essere innovativo del linguaggio comprendendo o meno la figurazione.
A quale o quali artisti è particolarmente affezionato, per lei particolarmente importante.
Mimmo Paladino in assoluto al di là del discorso di mercato, anche per suo valore culturale. Tra coloro scoperti poi esposti a Milano Martin Disler, la mostra di dicembre era un richiamo nel tempo della lunga collaborazione, con opere solo su carta. Anche con Bernd Zimmer c’è stato un sodalizio molto antico, ora docente all’accademia di Monaco. In generale molti tedeschi.

Intervista ad Enzo Cannaviello. Ritratto in galleria con un dipinto di Bernd Zimmer sullo sfondo, ph. Sofia Obracaj
Una sua impressione di Milano
ll trasferimento fu un’avventura e non conoscevo nessuno, ma Milano mi ha accolto a braccia aperte. La prima mostra fu quella di Urs Lüthi, caposcuola della body art, in Piazza Beccaria: vennero 500-600 persone e questo mi convinse ancor più che Milano è davvero la capitale dell’arte (anche per la moda e il design), Milano domina tutte le altre città, Torino la segue ma viene molto dopo. Uno sconosciuto arrivato all’improvviso viene accolto immediatamente. Certo con un progetto ambizioso, anche se poi questo progetto bisogna farlo conoscere alla gente, e non è facile.
Ci sono casi nei quali non fu capito dal pubblico?
Accadde per Sigmar Polke che oggi è il numero due al mondo dopo Gerhard Richter, ma questo capita spesso nella storia dell’arte. Sono andato a vedere la retrospettiva a Palazzo Grassi a Venezia, notare che nel suo curriculum in Italia c’è solo la mia galleria mi dovrebbe rendere felice invece non lo sono, è molto grave per il nostro paese.
Ci sono altri esempi pensando agli esponenti dell’espressionismo tedesco: è difficile farli apprezzare da pubblico italiano abituato all’eleganza formale mentre il tedesco è abituato all’impeto alla passione alla forza della pittura. Sono due concetti diversi.

Tra gli artsti di Cannaviello, Urs Lüthi, Autoritratto, 1972
Dal punto di vista del mercato..è cambiata molto Milano in questi anni immagino
Come ho già detto è il proliferare recente delle fiere e delle aste, è così da così da al massimo venti-trent’anni ,che ha fatto cambiare la mentalità..cioè oggi l’arte viene ascoltata con le orecchie e non con vista con gli occhi, si considera bravo che economicamente valido, ma fra dieci o solo cinque anni le cose cambiano.
Io credo che il collezionista debba scegliere secondo la propria cultura e la propria sensibilità, e conta molto l’interlocutore e il luogo dove andrà l’opera.
Anche i grandi artisti sono stati emergenti. Rispetto a coloro che ha conosciuto in cosa è diverso il giovane artista di oggi?
Io sono un sessantottino e all’inizio degli anni settanta il fattore economico incideva poco a dispetto di oggi, si pensava a lavorare senza essere ossessionati troppo dal ricavo. Oggi purtroppo tutta la nostra società è piuttosto arrivista, si vuole arrivare subito non sapendo più aspettare, e allo stesso modo porta gli artisti a seguire questo atteggiamento.

Intervista al gallerista Enzo Cannaviello. Tra i dipinti a Milano, B. Zimmer, Reflexion Waldsee, 2012.
Forse perchè nel 1970 loro avevano qualcuno con una professionalità precisa e solida ad accompagnarli nel loro percorso, come i galleristi non solo interessati alle quotazioni.
E’ vero, in questo modo potevano dedicarsi al massimo nella loro ricerca, erano liberi di pensare solamente a dipingere. Oggi spesso sono anche manager di loro stessi e questo non è funzionale nel sistema. Vale ancora la pena affidarsi ad una galleria che sappia promuovere, il suo ruolo è insostituibile. A chi pensa che non serva più rispondo che non si limita a vendere un”prodotto”, ma fanno cultura con un programma e una selezione per i collezionisti che amano davvero l’arte. Un dipinto non è una merce, per questo non condivido l’intento di un Affordable Art Fair che definisce le opere partecipanti secondo il criterio di stare sotto ad una certa cifra, al di là della qualità delle opere.

Intervista ad Enzo Cannaviello. L’identità di un gallerista attraverso le foto che ripercorrono la sua carriera a Milano, ph. Sofia Obracaj
Cosa insegna la storia di Enzo Cannaviello ai giovani galleristi?
Che è le mode sono passeggere e si sbaglia ad affidarsi a quelle. L’insegnamento che mi sento di dare è di pensare con la propria testa, inoltre frequentare i luoghi giusti perché la formazione culturale che uno ha la riceve dai luoghi dai nomi, dalle gallerie e dalle mostre pubbliche giusti.
Michela Ongaretti