Morfogenesi è il titolo dell’esposizione di Achille Ascani e Giovanni Nicolini all’Orto Botanico dell’Università di Parma. Una bipersonale atipica, tappa di un viaggio tra Arte ed Ecologia, che fa dialogare la ricerca fotografica di Ascani con una piccola retrospettiva sull’arte concettuale e relazionale di Nicolini.
Morfogenesi fa parte del festival InSostenibile in corso, a cura dell’associazione di promozione sociale 24FPS, il cui intento è quello di sensibilizzare sulle tematiche ambientali attraverso il cinema e le attività aperte al pubblico.
Manca poco al termine della kermesse emiliana, l’8 luglio, ma desidero che si continui a parlare di Morfogenesi per l’originalità del progetto di produzione condivisa, nato dopo anni di riflessioni e ipotesi del duo artistico. Pensato per evolversi, è accompagnato da un pamphlet dell’ecologo Rossano Bolpagni che si interroga sul senso dell’osservazione della Natura. Morfogenesi è già alla sua seconda tappa, dopo l’approdo a Milano presso Made4art nell’autunno del 2021, e potrà confluire in altre manifestazioni che coinvolgano più discipline e visioni.
All’Orto Botanico il lavoro allestitivo ha tenuto in considerazione gli spazi esistenti, in particolare ha arricchito le aree esterne del giardino, esaltando il loro rapporto osmotico con la Palazzina neoclassica del Petitot.
Sulle vetrate delle serre di quest’ultima è osservabile il nucleo di scatti fotografici di Ascani, mentre sulla struttura delle serre laterali si leggono esempi delle due distinte ricerche. Per Nicolini l’esposizione richiama parzialmente il work in progress “Dall’osservazione del mondo alla contemplazione della comunicazione” avviato all’Accademia di Brera e all’ Università Bocconi (2018/2019), con opere e documenti che vanno dagli anni Ottanta ad oggi, mentre dalla ricerca fotografica di Ascani sono stati selezionati suggestivi scatti fotografici a elementi vegetali, realizzati attraverso l’uso di un microscopio.
La serie scelta comprende il trittico “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, nome emblematico dell’idea di una rispondenza tra mondo vegetale e comportamento umano.
Attraverso la mutazione delle forme, le foto osservano da vicino un organismo nel quale ogni elemento è destinato a diventare altro da sé, nel quale l’immagine descrive un processo sistematico, in fase di cambiamento nel particolare e nell’insieme. Quello che conta è il processo di trasformazione generale che contempla dettagli vivi e mutevoli grazie alla loro interrelazione. Le linee e i colori che caratterizzano una cellula vegetale o i suoi contorni sono anche elementi compositivi, come in un dipinto, ma tutto è di passaggio, destinato a sfaldarsi o ricomporsi.
Particelle affascinanti, in quanto misteriose ai più, simboleggiano l’irrilevanza del principio di vanità in Natura. In mano all’arte e alla visione ravvicinatissima, la superficialità o la vuota artificiosità del momento smettono di essere puramente estetizzanti nella resa alla realtà del processo biologico. L’eleganza del mutevole viene sublimata in una visione splendida e terribile al contempo, che è però semplicemente naturale. La conseguenza poetica dello sguardo al meccanismo è nella sua elevazione a visione universale: una piccola membrana per l’intera foresta, una porzione vitale in una comunità di viventi.
Leggiamo alcuni testi di Nicolini sul sito della Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia.
L’importante centro espositivo, per la programmazione dell’arte contemporanea nella città emiliana, lo pubblica tra altri interventi critici afferenti al blog tematico Emme. Le sue sono parole fondamentali per comprendere i suoi obiettivi di promozione culturale, che hanno anche condotto alla nascita del progetto Morfogenesi con Achille Ascani.
Non è la prima volta che Giovanni Nicolini assume il ruolo di artista e agitatore di riflessioni sul contemporaneo, che auspica possano generare pensieri, affinché “quei contributi possano testimoniare la dimensione trasformativa e rivoluzionaria del fare e pensare arte”. La sua scrittura per e sull’arte fa parte del processo di produzione e di circolazione delle idee. Tra i temi a lui cari pensiamo ai processi sociali dinamici (ed evolutivi). Così ci avviciniamo alle similitudini con la scienza dell’ambiente: è proprio dell’ecologia lo studio delle interazioni biologiche tra gli organismi, le comunità viventi e gli ecosistemi.
Non è invece la prima volta, ma è abbastanza raro, che l’Arte e la Scienza condividano una visione concettuale per presentarsi al pubblico insieme.
Soprattutto in quest’epoca di “greenwashing” generalizzato, rivolto alla giustificazione di un profitto o nella scia di una moda. Concorre a rendere più credibile e polifonico il connubio la partecipazione al progetto di Rossano Bolpagni, ricercatore del Dipartimento di Scienze Chimiche della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma, ente che dà patrocinio al festival.
Ma dove risiede il valore estetico dell’esposizione, quale la risonanza poetica che resta, in un ragionamento condotto attraverso le immagini?
Se un’urgenza di rappresentazione nasce dal “disporsi fianco a fianco del tempo che regola le metamorfosi”, l’osservazione del reale di Morfogenesi si fa esperienza di inattesa fioritura di meraviglia. Un sentimento che supera lo sguardo contingente verso la quotidiana esistenza, dalla notte dei tempi genuinamente instabile, vertiginoso. Secondo Bolpagni contemplare i segreti invisibili della Natura, all’occhio umano, riconduce all’antichità mitologica: “la “Meraviglia” (θαῦμα, thaûma), figlia di Iride e del gigante Thaumante – corrispondente ai moderni concetti di “terrore” e “angosciante stupore”, ciò che ogni Uomo prova di fronte al Mondo naturale e alle sue leggi oscure, alla vastità del Cosmo e alla tragica rivelazione dell’immanente”.
Condivido con i creatori della mostra la visione di una guida ancestrale alla riscoperta moderna del reale, caratterizzata dal binomio ammirazione/paura, suscitato dalla progressiva comunanza con la Natura.
Come persona del ventunesimo secolo sento anch’io la necessità di “riallacciare i processi che ne intrecciano i destini (di Uomo e Natura), con uno sguardo rinnovato, orientato alla comprensione delle relazioni”. Come curatrice ringrazio per l’esempio di una mostra aperta a nuove fruizioni e chiavi di lettura, magari nell’integrazione futura di diverse professionalità.
Michela Ongaretti