Una pietra sopra. E’ un espressione che indica la chiusura di una situazione, un rapporto, per non ricordare più. Quella di Marco Cordero però è una dimenticanza attiva perché trasmette la suggestione di un processo possibile. Una pietra sopra è anche il titolo della sua mostra personale in corso fino al 9 novembre, la prima allestita negli spazi di Nuova Galleria Morone a Milano.
La pietra e la carta di libri di cui non conosceremo mai il contenuto. Non in ordine casuale. Prima emerge visivamente la formazione da scultore che scava, leviga, trova una forma nel blocco sordo di un materiale vecchio come il mondo, o che decide persino di tenerlo così come trovato.
Poi mi arriva la sublimazione della pagina nella distruzione del suo discorso originario, simbolo anch’esso di un retaggio antico, ma non più antico dell’uomo e della sua esigenza di trasmettere informazioni. Nella dialettica tra i due materiali vedo quello a cui l’onestà disciplinare riporta, che dal trambusto della rivoluzione della forma e della funzione del libro, oltre il linguaggio identificativo della nostra storia, c’è il confronto con un confine la cui contemplazione richiede una silenziosa empatia con il Tutto.
Ma partiamo dalla scoperta del particolare, seguendo un ragionamento induttivo per portarvi dentro alle emozioni materiche della mostra, fino alla sua anima universale.
Dice bene Paul Ardenne, autore dell’illuminante testo critico sul catalogo, che Marco Cordero elegge ad elemento cardine delle sue sculture un libro vero, “ ma rielaborato: scavato, svuotato, bruciato, strappato alla sua funzione di libro”. Persi titolo e contenuto, una frase o una parola, conservata e isolata, diventano frammento di un discorso nuovo, di un linguaggio non più fatto di verbo ma di simboli materiali, plastici. Condivido la visione di una sua trasformazione verso “un territorio altro”: da lessico testuale a lessico scultoreo. Però non riesco ad individuare un’aggressione o una cancellazione; piuttosto mi colpisce il definire il gesto come preciso e “devoto”. Si vede l’amore per qualcosa che fa parte di una storia personale, e che da solo non basta più, dopo l’incontro con qualcosa di più urgente.
Dunque la lavorazione della carta porta alla sublimazione dell’oggetto libro in una forma simbolica, che lascia traccia della sua origine anche quando migra verso l’elemento che risuona intuitivamente come complementare: la roccia, la pietra o il marmo. Nella fusione si originano “curiosi ibridi, libri-roccia o rocce-libro” che sono in grado di mantenere l’autonomia delle rispettive materie e così facendo, dichiarano la natura duale dell’opera. Quando osserviamo l’intersezione con i minerali siamo già lontani dal particolare rivelatore, stiamo ragionando su un rapporto.
Sono fermamente convinta che per capire l’arte contemporanea sia necessario uno stato di abbandono, un liberare il proprio potenziale immaginativo per entrare in un mondo che resta in parte enigmatico, dove il proprio bagaglio intuitivo è più potente di quello logico.
Certo qui potrebbe esser utile indagare la scultura alla luce del sentimento verso le sue due componenti fondanti. Il libro raccoglie conoscenza, trasmette storie e saperi, è rappresentazione della cultura per antonomasia, appartiene al regno dell’umano che lo ha inventato. La pietra grigia o il marmo candido, per quanto lavorati, appartengono al regno senza parole della Natura. E’ vero che entrambi hanno perso la loro realtà originaria: il libro esiste senza il suo contenuto e l’elemento minerale si trova lontano dal suo ambiente selvaggio. Entrambi sono destabilizzati singolarmente. Ma tutto questo non fa che alimentare una nostalgia verso la nostra idea della loro identità. Li rende simboli ideali. Così il loro incontro si evolve in narrazione dialettica nella lingua e nel mondo dell’arte.
Il corpus di Una pietra sopra sembra nato per gli ambienti milanesi, eppure non possiamo definirlo propriamente site-specific.
Diciamo che le opere selezionate privilegiano un dialogo con gli elementi strutturali. Così Noli me tangere pare moltiplicare la colonna della prima sala, oppure Inchino si propone nell’adattamento alle misure della scala interna, obbligando il visitatore ad abbassarsi per osservare i libri e la sorpresa che contengono da sottinsù, meravigliandosi di come il loro sostegno dipenda dal millimetrico calcolo del loro ingombro.
Generalmente una costante di Cordero l’approccio in situ degli allestimenti, alla Nuova Galleria Morone facilita la scoperta di dettagli nell’intersezione tra materiali complementari, quando il nostro sguardo volge alle combinazioni a pavimento, oppure quando disegna una linea d’orizzonte unica nei lavori a parete. Pur non stravolgendo la linearità del percorso la declinazione delle sculture nel luogo, termine preferito dall’artista a quello di spazio per il fatto di essere determinato da ciò che vi accade all’interno, prevede piccole alterazioni. Può essere l’intralcio al normale accesso il modificare piccole parti di intonaco vicino al riflesso dei volumi, a ricordare le possibilità di un dettaglio di amplificare un immaginario. Partite dal punto che preferite perché il percorso è circolare, come le dove “l’inizio coincide con la fine, come in Finnegans Wake di Joyce, come nei cicli organici, nella vita… “
In questo universo di reciproca ambivalenza, tra cultura mineralizzata e pietra addomesticata nelle sale di un’elegante galleria cittadina, gioca comunque con semplicità raffinata una forza ineluttabile, quella di gravità.
Prendiamo il lavoro che dà titolo all’esposizione, emblematica anche per la sua posizione mediana nel viaggio del visitatore. Non casualmente è l’unica ad affacciarsi sulla vetrina, sentinella dell’impressione che può suscitare nei passanti, invitati ad esplorare l’interno. Da ogni direzione la si guardi è evidente la pesantezza di un masso, preso tal quale in natura, che sovrasta pomposi volumi rilegati contenenti tutte le edizioni del quotidiano Corriere della Sera dal 1962, donate all’artista dalla Fondazione Einaudi. Sono colpiti da un taglio angolare, come svuotati da grandi fauci in un unico boccone.
Mettere Una pietra sopra , secondo l’espressione popolare, significa finire, chiudere l’esperienza di un avvenimento per passare oltre. Non pensarci più. Se ci fermiamo ad una lettura univoca quei mastodontici volumi sono vita passata da superare, ma la loro trasformazione in materiale simbolico è troppo eloquente per fermare gli interrogativi.
Per Cordero, come scrisse Rilke “importante è ricordare ma più importante è dimenticare”, perché dimenticanza non è cancellazione, è saper aspettare che i ricordi affiorino quando avranno un nuovo senso per il nostro presente, quando saranno cambiati dentro di noi. E’ un dato di fatto che quei libri contengano molte informazioni sull’attualità di un lungo periodo, e che sono tutte storie vere. Non fiabe, notizie. La pietra, nel bloccare, protegge un mondo quotidiano, limita la sua dispersione, mentre una mutazione è in corso.
Nell’intervista sul catalogo di Una pietra sopra Cordero afferma che “modificare la condizione del libro apre a possibilità di immaginari differenti”, e davanti a quest’opera è capace di parlare senza mostrare la scrittura. Non serve, è il tutto per le parti originarie, grazie all’alterazione di qualcosa che c’è già, evocando e non creando dal nulla. L’atto di devozione per la pagina si manifesta per lo scultore lasciando parlare per prima la materia, mettendo da parte il verbo che guidi l’interpretazione, ed è l’evidenza di un atto di “disturbo” su quella carta a dichiarare la sua portata metaforica.
A dare quel morso il Tempo, sulle vicende umane destinate a disgregarsi molto più in fretta della pietra, che così fragili perdono la loro centralità, la loro supremazia.
Nascondere il senso compiuto delle parole può essere un invito a fare un passo indietro sul dominio del mondo, ad allontanarsi dall’antropocentrismo accettando che “una pietra sopra” sia una garanzia per la sopravvivenza. Senza proclami o inviti all’azione dal sapore politico Marco Cordero tocca con il suo lirismo plastico l’urgenza di salvaguardare il pianeta. L’emozione ancestrale guida una riscoperta del reale pulsante.
Nella dialettica tra pietra e carta, a ben vedere, non vi è mai parità assoluta: l’aspirazione ultima, la rivelazione di materiali esistenti sollecitati alla trasformazione tende alla sostanza del minerale. Tende al suo essere scavato e plasmato da millenni, fuori dall’azione umana. I libri sono scritture del passato, eredità preziose come quelli che il padre di Cordero salvava dal macero privi di copertina, memoria che già si consuma e che nel nuovo nome della scultura, in quel passo indietro dall’azione, possono perdurare di generazione in generazione.
Sarà per questo che osservando ancora il ciclo a parete Calamina inizio a vedere riferimenti pre-rinascimentali, all’epoca in cui l’arte non necessitava di rappresentazione naturalistica veritiera per suggerire un’ambientazione.
In opere dove la pagina è più libera di farsi scultura vedo le increspature dei monti tardo medievali, da Lorenzetti fino a Giotto, per andare ancora più indietro nella Storia dell’Arte con Inchino, che invita a piegarsi come per raggiungere una cripta, nella profondità di un’architettura simbolica dove l’umanità si sentiva piccola rispetto all’immensità del Creato.
Michela Ongaretti
Per maggiori informazioni sulla mostra vi invito a consultare la galleria nuovagalleriamorone.com