Oleg Kulik è l’artista da vedere a Milano prima del 30 settembre. Per tutta l’estate la galleria Pack ospita il progetto Sunlight. Due installazioni divise in due ambienti, Grid e Parachutists, per uscire diversi da come si è entrati.
Sunlight continua l’indagine della precedente opera Eclipse sviluppando forma e sostanza concettuale sull’ambivalenza costante. Un binario in partenza dall’uomo rappresentato come diviso, impigliato fra ideologia e fisiologia.
Oleg Kulik, installazione e azione
Kulik è noto al pubblico, me compresa, più per il ruolo di performer e attivista che per quello di scultore. Le opere in mostra colpiscono per la raffinata sintesi materica e concettuale. Forse per chi ha prima in mente il suo azionismo sorprende la precisa e controllata cura disciplinare, così lontane dal pensiero secondo cui “un azionista non produce nulla e (…) non deve fare nulla per essere unico”¹.
Qui l’unicità è resa da un’atto di manipolazione della materia che si confronta con lo spazio e con la fruibilità delle sue componenti. Questo ciclo di opere “concrete”, se è provocazione o espressione di un’ individualità resta presenza dalla quale ogni volta la si osservi può nascere una riflessione nuova, ovvero ha più dimensioni fisiche e concettuali,rispetto ad un’esibizione viva per il suo unicum performativo.
Evidentemente Oleg Kulik mantiene il phisique du role, o meglio a recitare è sempre comunque il corpo, sia quando esibisce se stesso, sia quando esso appare in forma stabile scolpito o fotografato. La sua oggettività porge i grandi interrogativi, nella esasperata individualità contro ai limiti che il sistema ( qualunque tipo di sistema) ci impone, e che per un cittadino russo del cosiddetto post soviet actionism ha ragione storica di esplodere.
L’ambivalenza sul corpo
La stessa individualità che impedisce una generalizzazione del movimento russo con Pyotr Pavlensky come riconosciuta figura di spicco, da Kulig, è quella che entra a pieno titolo nel lavoro in mostra ad opporsi a una regola valoriale e al contempo geometrica. La cifra stilistica che si può trovare in tutto il lavoro dell’artista, performativo, scultoreo e fotografico, è senza dubbio un’ambivalenza concentrata sulla convivenza di opposti, che si esprime in primis sul corpo che non separa ma rappresenta la psiche, secondo quella concezione anti idealistica spiegata da Umberto Galimberti nell’introduzione a Il Corpo ( 1983), sulla quale in questa sede non mi soffermo.
Dirò soltanto che nel lavoro dell’artista russo ritrovo il ragionamento per cui “L’ambivalenza così dischiusa non è ambiguità, ma è quell’apertura di senso a partire dalla quale anche la ragione può fissare l’opposizione dei suoi significati”, dove la logica formale non è disgiuntiva ma onnicomprensiva di valori che nella convivenza e opposizione si manifestano reali. In Sunlight il bello non prescinde dal brutto, il bene dal male, la libertà dal pensiero dominante, l’anima soggettiva dal corpo che è il corpo di tutti.
Azione e individuo
Dallo stesso punto di vista, per quanto Oleg Kulik insista sul senso dell’individualità ( mi riferisco sempre all’intervista nella londinese Saatchi Gallery del 2017), lo fa legandosi alla contrapposizione mai sanata con la collettività, con un principio generalizzato o imposto.
E’ l’azionismo propriamente russo ad avere aperto una strada felicemente senza ritorno: “Non apparteniamo più al concettualismo o al socialismo reale, o all’avanguardia degli anni 20. Non siamo più legati a Tolstoj o Dostoevskij. I nostri legami sono con il protopapa Avvakum, che sarebbe apparso mostrando il dito medio a qualunque sistema. Queste sono le radici della nostra arte. E la nuova arte russa sarà quella creata da personalità individuali molto indipendenti. Il mondo non ha mai visto tale individualità. E’ precisamente in questa terra collettivista che tali persone nasceranno, non accetteranno mai nessuna pressione esterna, che sia sociale, politica o economica. Fanculo, solo libertà (…)”
Una mostra di opposti
Utilizzando questa polarità valoriale possiamo osservare tutte le installazioni in mostra.
La proprietà simbolica si presenta con due diversi aspetti formali che funzionano come due elementi antitetici, ed è sempre tramite la fisicità scultorea che si raggiunge l’obiettivo di attivare valori profondi, che scavano nella memoria personale, forse autobiografica, e storica.
Grid
Restando nell’ ambivalenza, non aver assistito all’inaugurazione della mostra corrisponde ad una visita solitaria, che consenta di vedere da ogni angolazione le tre installazioni scultoree Grid.
Una griglia che si interpone tra due visioni, due materie e due linguaggi. Il Sole che è solitamente emblema di calore simboleggia quello del “Nord” della prigioni russe, sui tatuaggi dei carcerati. Anche le inferriate alle finestre dell’era sovietica avevano un motivo tipico con un semicerchio da cui partono raggi.
Su questo motivo già fortemente ambivalente, il calore del sole associato al nord, la luce calda contro al buio di una cella fredda, si installa metonimicamente il corpo. Parti di un tutto che esprimono violenza o aggressività, ma anche adattamento ad una condizione, la resilienza. E’ al linguaggio immediato della scultura più tradizionale che si affida l’emersione di un’umanità, anche dell’anatomia dello stesso artista. Sono pugni o una schiena stretti alle sbarre, o nel pezzo più simbolicamente elaborato un braccio si espone oltre l’apertura di un’apertura simile allo sportello di un cambia valute. Un gesto per richiedere aiuto, tregua? La pace in veste di colomba si appoggia alla mano dell’uomo per beccarne un dito. Così l’uccello dichiara l’inconciliabilità degli intenti tra libertà individuale e sistema, con la mostruosa ibridazione alla fisionomia di Putin.
Kulik in gabbia
Un ulteriore doppiezza la si può dedurre dalla presenza della griglia stessa. Purezza estetica e concetto di limite al contempo nell’arte contemporanea secondo Rosalind Krauss, paradigma della visione scientifico-prospettica dei grandi del Rinascimento. Sulla costruzione razionale si appoggia un disfacimento valoriale, di una coscienza artistica che denuncia il blocco della sua libera espressione. E’ ancora dell’individuo il corpo martirizzato come su una graticola dei primi cristiani, esibito nudo e sofferente. E’ l’anatomia di Oleg Kulik dietro alle sbarre.
Parachutist
Il senso di ordine o rigore rappresentato dalla struttura metallica, appare in una veste più sorprendente nella sala dedicata a Parachutists, rivelata scostando una tenda scura. L’installazione è solenne e marziale in quanto simmetrica con i suoi cento elmetti militari, ma questa logica è contraddetta dagli elementi singolarmente così diversificati e letteralmente aggrappati a ciascun copricapo, come fossero paracadute. Sono cento piccole figure antropomorfe i paracadutisti, realizzati da persone, non artisti professionisti, invitate a Mosca da Oleg Kulik a partecipare al progetto. Cento individualità in un lavoro corale.
In un lasso di tempo predefinito queste persone hanno creato singolarmente delle piccole figure con l’argilla polimerica, su un telaio predisposto da Kulik, secondo l’idea di atto scultoreo come terapia per sfogare sulla scultura il dolore per il tradimento o altri traumi personali. Una dialettica di opposti nella suggestione del superamento del dolore individuale in un atto collettivo, che resta però fatto di molti dolori e forme eterogenee, contro all’immutabile geometria della guerra voluta da un regime.
Un ordine molti caos
Se si pensa che gli elmetti creati in serie per distruggere sono diventate cupole di protezione e cura per le figure dalle plasticità diverse, nate da personalità diverse, l’installazione può essere vista come un autentico ossimoro. Restano aperti interrogativi contraddittori: la patria ha salvato questi piccoli corpi di persone o la discesa dal paracadute rappresenta la loro morte già avvenuta, anche in senso metaforico? In ogni caso sia The Grid che Parachutist confrontano situazioni personali o sociali espresse in plasticità dinamiche al rigore geometrico e metallico, in una costante antinomica che è l’essenza stessa della libertà del singolo, in relazione problematica con l’imposizione di un allineamento strumentale ad un ordine politico.
Potere all’immagine
Non esci in strada come sei entrato perchè vieni colpito dalla potenza formale di scultura, ripetizione e luce. Della sua violenza si assorbe un senso di pericolo, nella memoria della sofferenza espressa sull’imperfezione delle anatomie, e una volontà di rivalsa corale.
Si rimane paralizzati. Nella bellezza tremenda di una riflessione sulla contraddizione insanabile di slancio libertario e ancoraggio al passato.
Michela Ongaretti
Olef Kulik. Sunlight.
Fino al 30 settembre presso la Galleria Pack, viale Sabotino 22 Milano
http://www.galleriapack.com/