Filippo de Pisis e i suoi eredi sono in mostra tra le svariate manifestazioni esterne della bolognese Artefiera, dal 13 al 15 maggio. La città si risveglia per Art City, ma Di semplicità e di brivido, alla galleria P420, è tutt’ora aperta alla vista e al cuore dell’osservatore, fino all’11 giugno 2022.

L’allestimento concepisce una forte presenza delle opere del raffinato vagabondo Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 – Milano, 1956), tra i maggiori interpreti della pittura italiana del novecento.
In uno spazio algido e minimale, che distanzia le opere per un’esperienza di lenta e dedicata osservazione, la sua ricerca è messa in dialogo con i quadri di sette pittori italiani ed internazionali, i quali hanno spesso tratto ispirazione dall’artista emiliano sempre autonomo e differente, rendendogli così un omaggio diretto o indiretto. Come ci suggerisce il titolo della mostra, usato da lui stesso per delineare il suo periodo tardo, lo scopo è proprio di mettere a fuoco gli anni tormentati e dolorosi. Furono intrisi di una ricerca più profonda, più interiorizzante e più solitaria, densa e dai toni malinconici.

Quel periodo si è prevalentemente consumato presso la clinica psichiatrica Villa Fiorita di Brugherio, alle porte di Milano. Possiamo rivivere l’atmosfera che si respirava al suo interno attraverso le parole toccanti di Marco Valsecchi, autore di un importante monografia e sostenitore della pittura di de Pisis, il critico racconta così questo periodo: “Nella clinica […] gli avevano preparato la tavolozza in una serra, perché potesse tornare alle care immagini. E difatti ricomincia a dipingere e a scrivere versi. Ma trova foglie morte, ragnatele e trappole per topi. Dipinge luci dilavate, colori magri e pallidi come la pelle delle sue mani con poco sangue.”
Le care immagini citate da Valsecchi, sembrano non esistere più tra le anguste mura di Villa Fiorita, i pomeriggi trascorsi tra i prati della Longara a catturare la fragile bellezza delle farfalle sono ormai un lontano ricordo.

Alla bizzarra fantasia si accompagna la raccolta dei fiori di svariato tipo: da botanico curioso ne fa un album, decifrandone le differenze. Di questa passione troviamo conferma dall’amico fraterno, grande poeta veneto Giovanni Comisso. “Ad ogni fiore mi decantava la sua bellezza e mi spiegava a quale specie apparteneva […]. Il giorno dopo ne aveva fatto un quadro, ma tra quei fiori vi aveva dipinto un gladiolo rosa, che non aveva raccolto, che non aveva aggiunto al mazzo, ma era stato da lui fantasticato. Difatti quel gladiolo era trasfigurato con pochissime pennellate, tutte d’impeto, in una specie di calla rosata, che faceva soprattutto pensare a un sesso femminile apparsogli d’intuito. E sopra in direzione di esso vi aveva tracciato a sghembo un raggio giallo che diceva essere un fulmine nell’attimo di colpire quel fiore gravido di mistero”.

Diversi i quadri raffiguranti questa natura colta da de Pisis come Vaso di fiori del 1952, frutto di un processo pittorico mentale fatto di ricordi, profumi e persone.
Un’immagine comune ad esempio all’opera Stone and Flowers, dell’artista olandese Maaike Schoorel, anche se mossa da una matericità tutt’altro che estatica . Quelli di Filippo de Pisis sono piccoli fiori, ancora timidi, sembrano voler preannunciare una primavera, risucchiati da uno sfondo monocromatico. Lo stesso avviene in maniera più astratta ed essenziale ma non meno sensibile nel quadro il vaso di fiori di Richard Aldrich, artista tra i meno figurativi in mostra. Paul Housley, pittore inglese, si avvicina a questo tema in maniera più surreale, il suo quadro vede pennelli raccolti che si possono “intuire” come un vaso di fiori. Davide Ferri ci suggerisce ancora di osservare i quadri di Michael Berryhill come un palcoscenico teatrale, con gli oggetti che appaiono in primo piano come ingranditi da una lente.

Oltre alla Natura, anche il Nudo ha giocato un ruolo di rilievo nell’opera dell’artista, qui ammirati principalmente su supporto cartaceo. Essi ci ricordano la carne pallida dell’Olympia di Monet, osservata sovente dall’occhio attento di de Pisis nel suo lungo soggiorno parigino.
Questa giovinezza desiderata e piena di sensualità vede ritratti ragazzi del popolo e marinai, probabilmente colti dopo un incontro o durante le passeggiate notturne lungo la Senna. Questa delicatezza viene contradetta dall’opera Boy, del poliedrico pittore scozzese Merlin James, che mostra senza censure il corpo spoglio di un ragazzo. Si palesa teso come lo è la sua evidente erezione, in contrasto con i nudi depisiniani, composti e di una bellezza più fragile.

Il tema del nudo è presente anche nell’opera Untitled di Luca Bertolo. Qui lo si rappresenta “spogliato”, mentre la sua mente appare separata dal corpo, distesa in uno spazio profondo libero dai contorni tipici di de Pisis. A proposito del ferrarese, l’artista afferma: “l’asprezza della sua pittura sta tutta nel tracciato fatto di spessi segni neri su cui s’abbarbicano macchie di colore”. Li associa l’impareggiabile bravura di dare una struttura al disegno quasi casuale, che sgraziatamente fissa il mondo in un momento di grazia.

L’impegno, nonché la passione di Alessandro Pasotti e Fabrizio Padovani in collaborazione con Davide Ferri e l’Associazione per Filippo de Pisis di Milano, ci regala così una mostra a lungo ragionata e dal respiro internazionale.
Riesce a intessere un nuovo dialogo con i luoghi nei quali il pittore ha vissuto, imparato e dato, con il suo gusto e stile peculiari. Da visitare anche come occasione per scoprire la versatilità di un caposaldo della nostra cultura. Citando ancora Luca Bertolo l’artista è: “de Pisis conte, de Pisis gay, de Pisis col pappagallo, De Pisis san Sebastiano, de Pisis contemporaneo. De Pisis cozze, de Pisis bouquet. De Pisis storto, de Pisis dritto, De Pisis mago, De Pisis fanciullo”.
Bohdan Stupak
