L’Architettura e la Storia sono due capisaldi della mostra che celebra passato e presente nei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Da secoli e in tutto il mondo l’opera del sommo poeta rappresenta la cultura italiana, non solo per il pensiero filosofico, per la testimonianza della vita politica e culturale dell’epoca, o per l’eleganza dei suoi versi.

Nella Divina Commedia si immagina anche lo spazio ultraterreno e si suggeriscono delle vere e proprie visioni architettoniche. Città di Dio. Città degli uomini. Architetture dantesche e utopie urbane, a cura di Luigi Gallo e Luca Molinari, è dedicata squisitamente a quelle immaginifiche suggestioni e alla loro influenza su artisti, architetti e illustratori contemporanei.

Confronti in mostra
Ci troviamo alla Galleria Nazionale delle Marche non a caso. Il Palazzo Ducale di Urbino, che ospita l’esposizione fino al 27 marzo 2022, è un capolavoro del primo Rinascimento Italiano, caratterizzato da un nuova formulazione di principi umanistici fondanti le arti, il pensiero e l’architettura. La prima riflessione sull’eredità visiva nasce infatti dal confronto tra il dipinto quattrocentesco della Città Ideale e le 22 tavole originali del progetto irrealizzato di Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni per il Danteum. I disegni per il monumento a Dante, da realizzarsi a Roma sulla via dei fori imperiali, risalgono agli anni Trenta del XX secolo e sono visibili al pubblico tutti insieme per la prima volta.

Dopo questo confronto “ideale” con la gloriosa figura storica del poeta fiorentino, una seconda sezione presenta una rilettura contemporanea delle ambientazioni della Divina Commedia. Sono circa cento i disegni orginali di architetti italiani contemporanei di diverse generazioni: un’eredità soggettiva del mondo di Dante.

Danteum razionalista
Il destino ha voluto che il progetto per il maestoso monumento restasse utopico. Danteum nasceva nella mente di Pietro Lingeri e Giuseppe Portaluppi alla fine degli anni trenta del ‘900, ma la sua costruzione fu fermata dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Lo sforzo degli architetti razionalisti era rivolto a dare forma tangibile e moderna dello spazio immaginato di Inferno, Purgatorio e Paradiso della Divina Commedia.
Omaggio a Dante attraverso l’architettura come proiezione plastica del poema, il Danteum intendeva evocare la figura del poeta attraverso il linguaggio dei progettisti. Materiali e leggi architettoniche dovevano esprimere il senso poetico e simbolico degli spazi descritti dai versi.

E’ architettura quella della poesia trecentesca, quella che nasce dai principi razionalisti, e quella che appare nel dipinto La Città Ideale: sono tre anime immaginifiche che si confrontano in questa sezione della mostra. Per la prima volta ad Urbino possiamo vedere tutti i disegni del progetto nella completezza dei materiali originari, conservati all’Archivio Lingeri di Milano.

Arte in Inferno, in Purgatorio e in Paradiso
Se nella precedente sezione si evidenza il ricercato dialogo tra l’architettura dellla Commedia e la sua eredità spirituale attraverso un tributo, nella seconda sezione gli esemplari pittorici, grafici e scultorei dei cento progettisti esposti uniscono Dante e la Città Ideale nell’ispirazione utopica ed escatologica. Tutti caratterizzati da rappresentazioni fantasmagoriche che descrivono luoghi verosimili ma impossibili.

Come in un sogno o in un incubo, come all’Inferno o in Paradiso, il riferimento più interessante è ciò che si lega anche al dipinto Quattrocentesco, è quella combinazione di elementi spaziali e compositivi concreti, integrati ad altri ideali. Ciò che ne risulta, nella rilettura dantesca di firme come Aimaro Isola, Andrea Branzi, Franco Purini, Carmen Andriani, Matilde Cassani, Yellow Office e Francesco Librizzi, è un’atmosfera spirituale, dominata dalla beatitudine o dal supllizio.

Caratterizza queste immagini un’architettura ultraterrena talvolta ironica, che non tiene in considerazione le convenzionali leggi spaziali o della sua rappresentazione plausibile. I disegni originali costituiscono un viaggio attraverso tre generazioni di progettisti, tra tappe di esplorazioni spaziali aliene a questo mondo. Un percorso inoltre custodito dal nume tutelare di Laurana e Martini, creatori della modernità quattrocentesca di Palazzo Ducale quale archetipo della progettazione .

L’architettura ideale di Federico da Montefeltro
Protagonista della mostra è dunque Dante, ma il perno attorno a cui ruotano tutte le opere esposte è la Città Ideale, intesa come utopia visonaria, di cui un esempio è il dipinto tardo quattrocentesco opera chiave delle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche. La riflessione è sulla creazione di un’architettura immaginaria in grado di rivelare o stimolare emozioni.
Che il destino dell’uomo sia l’armonia e la pacifica convinvenza, oppure un terribile e oscuro aldilà, vediamo come sia l’architettura dantiana che quella dei cento creativi contemporanei, con quella del monumento celebrativo, siano tutte rappresentative di un tentativo di dare corpo e sostanza alla visione soggettiva e simbolica dell’Uomo.

Anche la costruzione del Palazzo Ducale di Urbino, sontuosa residenza di Federico di Montefeltro, restituisce al presente un esempio di principi architettonici della fine del XV secolo. Come una città ideale realizzata nella fase più pura del Rinascimento, al suo debutto da quell’ispirazione agli stilemi di una classicità rivisitata.
Le diverse invenzioni di architettura fantasiosa derivano da “quella sensibilità che suscita emozioni nell’osservatore”, secondo la lettura dell’ispirazione artistica da parte di Le Corbusier. Accolte nella casa del Duca si ricollegano al sogno utopico di un passato ideale proiettato nella contemporaneità e nel suo linguaggio.

Utopia e futuro
Nel solco dei capolavori del passato come La Divina Commedia, la Città Ideale, il Danteum, rivive l’esplorazione delle opere create per la mostra, con la consapevolezza che l’opera di genio influenzi, anche a distanza di secoli, discipline artistiche differenti. Quei capolavori riflettono, secondo Luca Molinari, una costante: la distanza tra il presente e una tensione verso l’idea di futuro, verso l’Ideale.

Secondo il curatore è stato “uno dei motori di ricerca dell’arte e dell’architettura moderna occidentale, ne ha nutrito le aspirazioni e le tensioni ideali, garantendo forme di sperimentalità libera che hanno reso possibile alcune delle innovazioni e degli scarti necessari al cambiamento». Così è stato per la poesia trecentesca di un padre della lingua italiana, ideale ospite della Galleria Nazionale delle Marche, che conserva l’immagine di una città austera e perfetta, così perfetta da restare per sempre un’utopia da raggiungere.
Michela Ongaretti
