STRESSED ENVIRONMENT di Davide Savorani nel nuovo spazio per l’Arte di Marsèlleria Milano
recensione di Michela Ongaretti
Marselleria, un luogo per la creatività che si pone come culla di ricerca sui linguaggi contemporanei afferenti a diverse discipline e categorie, ha iniziato una fervente attività espositiva fin dal 2009 in via Paullo, e presto MilanoArtexpo non mancherà di presentarla.
Il nuovo spazio è interamente dedicato, fino al 12 febbraio, alle installazioni di Stressed Environment che Savorani ha allestito lungo una direttrice lineare, per terminare in una saletta buia, che amplifica con il suono la percezione di sensazioni suggerite dalla vista e dal tatto nella prima parte.
Marsèlleria Milano – alcune installazioni mostra Stressed Environment di Davide Samorani, 2016, ph. Carola Merello
Tutto inizia con la Noia, come poeticamente rappresentata dal racconto/diario sul blog dell’artista. Quando questa prende forma, quando noi ci rendiamo conto di star vivendola, la sua percezione può farci reagire, per trasformarsi in uno stato di mutamento attivo, dinamico.
Essa permette di arrivare a nuove esperienze, “sia soggettive che condivise” create dal tentativo di adattamento. Per Savorani ha un valore se non proprio positivo, di apertura verso uno scenario nuovo rispetto alla stimolazione frenetica e consuetudinaria della comunicazione quotidiana, nelle relazioni e nei rapporti lavorativi. Fuori da tutto ciò la Noia ci richiede narrazioni nuove, perché quando è focalizzata stressa appunto il nostro ambiente, lo forza ad un nuovo adattamento, non dimentichiamo che lo stress è per definizione una forma di adattamento, verso una dimensione più profonda e vicina ai nostri bisogni.
Marsèlleria Milano, 2016, Dettaglio installazione di Stressed Environment di Davide Samorani, ph. Carola Merello
Quello che vedo è una fila di installazioni composte da pali su cui sono appese palle mediche sgonfiate e destrutturate, alle quali si collegano lightbox contenenti disegni come un manuale esplicativo di istruzioni per le norme di sicurezza in aereo.
Sono due elementi facilmente distinguibili che parlano di concerto allo spettatore: se le strutture slanciate richiamano l’ambiente ospedaliero, delle aste porta-flebo variopinte, i disegni inscritti in teche rettangolari come radiografie rappresentano gesti delle mani dove l’uomo o la donna stabiliscono la consapevolezza di sé, dal sentire il battito cardiaco sul polso all’atto della masturbazione. Il tutto riporta all’idea di una rianimazione, in senso lato o letterale, un risveglio che senza scossoni si sta compiendo.
Vista generale della mostra Stresses Environment di Davide Samorani presso Marselleria di via Rezia
E’ proprio la differenziazione delle diverse parti dell’installazione a realizzarne la visione completa, perché la percezione di chi osserva deriva dall’analisi delle sensazioni date prima dal disegno sul lightbox e in seguito dalla struttura verticale: il modo in cui ognuno compone questo puzzle esaudisce il desiderio di trovarvi un senso compiuto, dipende quindi dalla nostra modalità e tempistica di collegare le diverse aree.
Comunque risultano volutamente ambigue le interpretazioni di queste strutture dalla fisicità definita che riempiono la sala per quella che la curatrice definisce una “coreografia fantascientifica”; a me suggeriscono l’ambiente di una sala da pronto soccorso mentre Riva propone un percorso ginnico, ma sono anche propriamente quel che sono: sostegni e gesti, pali telescopici e disegni retroilluminati.
Davide Samorani, Stressed Environment, stressed scene 001, lightbox, 2015
Sono elementi affatto bidimensionali e statici, che invece attivano l’azione del pubblico anche solo nel girare intorno alle sculture e nell’invito alla voce dell’ultima sala.
Scendo da un gradino per entrare fiduciosa nel buio, ma rallento il mio passo non appena tocco il pavimento di sabbia; mi fa raccogliere in una sensazione ovattata, come un richiamo all’aspetto più profondo dello stimolo sensoriale precedente, quindi mi faccio guidare dal flusso di coscienza della voce femminile, invischiata ancora in un processo cognitivo ambiguo. Sono le sensazioni mie, logicamente generate dalla visita, o la mie psiche segue un comando esterno? Forse ciò che conta soltanto è che mi sto domandando se e come ci sono, dichiarando la mia presenza nel gesto o attività dinamica, indotta o volontaria, di ascoltare, non solo di vedere o toccare.
Marsèlleria 2016, L’installazione completa di lightbox Mask 3, Stressed Environment di Davide Samorani, ph. Carola Merello
I suoi lavori sono da sempre formati dalla combinazione di differenti media, dal disegno a cui si affida sempre come parte imprescindibile della concretizzazione dell’idea, alla scultura, alla fotografia e alla performance. La sua pratica artistica è caratterizzata dal coinvolgimento processuale e relazionale tra chi fa e chi vive la rappresentazione, secondo una visione che affonda le radici in quella teatrale, quindi si oppone all’idea dello spazio espositivo come luogo statico per oggetti da osservare passivamente.Davide Savorani, nato nel 1977, è un performer oltre che un artista visivo, infatti ha partecipato a progetti di Societas Raffaello Sanzio, Kinkaleri, Fanny&Alexander, ZimmerFrei, MK e Invernomuto, sicuramente riportando nella propria attività stimoli legati all’espressione della fisicità.
Sue mostre personali sono state: The Can’t Get-Away Club, presso GAR a Galveston negli Stati Uniti nel 2013; Green Room, Careof nel 2011, nel 2008 Gallisterna, Brown Project Space e Parade presso la galleria Artopia a Milano.
Marsèlleria 2016, Un’installazione completa di lightbox, Stressed Environment di Davide Samorani, ph. Carola Merello
Ha inoltre partecipato a moltissime mostre e happenings in Italia, Europa e Stati Uniti tra le quali ricordiamo le ultime: REVISIT, Overgaden, a Copenhagen nel 2014; Urban Bodies presso il Museo Villa Croce a Genova nel 2013; Prune In The Sky alla Toves Galleri di Copenhagen nel 2012; Not An Image But A Whole World al Kunstraum di Vienna nel 2012; The Inadequate, alla 54esima Biennale di Venezia / Padiglione Spagna, 2011.
Michela Ongaretti