Architecture for Dogs è un concept coinvolgente che riunisce in una piattaforma progetti e mostre, nel nome del moderno rapporto tra l’uomo e il cane. Ideato da Kenya Hara, designer giapponese noto internazionalmente e direttore artistico di Muji, approda negli spazi milanesi di ADI fino al 16 febbraio 2025.
Abbracciata dai leggendari esemplari del design italiano del Novecento, la dodicesima mostra internazionale di Architecture for Dogs è a cura di Hara Design Institute e Nippon Design Center Inc, che hanno realizzato anche l’allestimento.

Presenta diversi oggetti architettonici disegnati da grandi architetti o designer mondiali, dal Giappone al Brasile, dalla Cina alla Germania. In questa edizione si arricchisce delle opere delle due firme italiane Giulio Iacchetti e Piero Lissoni, realizzate da Riva 1920, in linea con la produzione aziendale da sempre ecologica e sostenibile.
Per la prima volta in Italia, ma al secondo appuntamento europeo dopo Londra nel famigerato 2020, l’esposizione intende portare esempi di una riflessione sulla relazione tra esseri viventi e l’ambiente costruito, delle sue dinamiche in mutamento, per allontanarsi dall’idea di uno spazio puramente funzionale e separato per gli animali domestici e per i loro amici umani. La cultura del progetto e i suoi esiti dedicati al tema vengono presentati altresì come strumenti di esplorazione di mutati bisogni della vita quotidiana, all’interno di uno spazio domestico o di lavoro dove la presenza degli animali è sempre più presente.

E’ un fenomeno odierno, di ampia portata. Si calcola che in Italia sono presenti circa 15 milioni di cani domestici, persino in una città poco verde come Milano una persona su due ha un animale nella propria abitazione.
Questa vicinanza rappresenta un chiaro cambiamento nella nostra società ed è già stata intercettata da altre declinazioni della progettazione, come il fashion design e il settore del tessile. Non a caso partner della mostra è la maison Giorgio Armani che insieme a Poldo Dog Couture ha creato una capsule interamente dedicata agli amici a quattro zampe. Anche per loro lo stile del marchio storico incontra il design funzionale.

Architecture for Dogs considera l’animale un abitante di uno spazio condiviso con l’uomo. Su questo ambiente i suoi progetti sperimentano nuove forme per nuove azioni, sforzandosi di compiere un ribaltamento di paradigma abitativo.
Si parla tanto di antropocentrismo come un approccio di pensiero odierno, mentre affonda in radici molto più antiche. Dall’ideale dell’Uomo Vitruviano al Modulor di Le Corbusier: esso ha caratterizzato e continua a caratterizzare l’architettura, e ha avuto numerosi meriti nel migliorare le condizioni di vita umane. Tuttavia è nell’età contemporanea che cresce la consapevolezza di non potere, e non volere, vivere solo per e con i propri simili. Da questa spinta innovativa si sono sviluppati i progetti in mostra: cercando di spostare il punto di vista del fruitore verso l’animale domestico, non più spettatore di uno spazio dedicato all’uomo, ma protagonista consapevole di un habitat che integra necessità di specie diverse, connesse nelle abitudini.
La pet-tecture si plasma sulle caratteristiche di chi la usa, portando la riflessione sui cambiamenti di un legame ancestrale sempre più vicendevole, assumendo veste artistica e critica di una dinamica più ampia, quella tra Uomo e Natura, all’interno di uno spazio.

Ogni oggetto può dunque esser visto come una piccola metafora che solleva una grande questione. Come cambia il rapporto con la casa costruita, antichissimo rifugio, quando cambia quello tra i suoi abitanti? Ciò che l’oggetto architettonico contribuisce a favorire sono proprio le relazioni tra il nostro modo di vivere e quello di esseri viventi di un altro regno. Sulla necessità di superare, con Architecture for Dogs, un approccio “egoistico” alla progettazione, si è espresso Kenya Hara in conferenza stampa. Ha ricordato che se il destino dell’animale, che da selvatico è stato da noi addomesticato e incrociato per formare le diverse razze, è di accompagnare le nostre vicende, focalizzandoci sul suo modo di vivere possiamo esplorare aspetti inediti di pensare l’architettura .

Appare subito chiaro come le mostre di Architecture for Dogs siano trasversali e visionarie, ovvero i loro oggetti sviluppano funzionalità studiando forme evocative. L’ambizione non è di costruire case per cani ma strumenti per vivere un dialogo.
Hara ricorda anche come l’intero progetto si propone di costruire una community globale di tutte le persone che amano l’architettura e i cani, e che si propone di ampliare la nostra visione di entrambi. Inoltre la natura inclusiva di Architecture for Dogs si estende anche alla partecipazione del pubblico. Chiunque, in qualunque area del mondo può accedere ai disegni e alle istruzioni delle opere, scaricandoli gratuitamente dal sito ufficiale (https://architecturefordogs.com/), per poi costruire queste architetture, facendo esperienza della creatività di esperti, interpretando le forme secondo il personale legame con la propria bestiola, condividendola.

Julia Huang, founder e CEO di Intertrend, azienda che con Imprint Lab ha co-fondato l’ambizioso progetto, ha espresso al pubblico italiano l’importanza di trovarsi nel luogo giusto, accolti in un ambiente accessibile, aperto anche agli amici a quattro zampe, che mette in dialogo le opere nuove con la prestigiosa collezione permanente.
A proposito della genesi di Architecture for Dogs Huang ha raccontato come ci siano voluti 12 anni dall’ideazione per arrivare a Milano, e che dopo la prima esposizione di Londra, virtuale a causa del Covid, questa è l’ottava esposizione fisica nel mondo, con una sua speciale declinazione e autori italiani. Ogni progetto è “personalizzato” in base a personalità e caratteristiche specifiche di una razza canina, con uno spirito di immedesimazione dei loro bisogni, portando alcuni oggetti molto pratici, ma anche di immaginazione, nella realizzazione di opere più visionarie e fantasiose.

L’allestimento, a cura del direttore Kenya Hara, offre un fluido sistema di isole espositive: ciascuna racconta una peculiare interpretazione del rapporto simbiotico che si può instaurare tra l’architettura e l’essere vivente, sempre in prossimità dell’umano. Le voci dell’architettura contemporanea internazionale coinvolte, e le rispettive razze canine sono quelle di:
Asif Khan: cani dal manto nero, Atelier Bow-Wow: Bassotto a pelo corto, FGMF: Yorkshire Terrier, Giulio Iacchetti: Levriero italiano, Haruka Misawa: Japanese Terrier, Hiroshi Naito: Spitz, Kazuyo Sejima: Bichon Frise, Kengo Kuma: Carlino, Kenya Hara: Tea Cup Poodle. Ancora: Konstantin Grcic: Toy Poodle, Ma Yansong: Labrador Retriever, MVRDV: Beagle, Piero Lissoni: Yorkiepoo, Reiser + Umemoto: Chihuahua, Shigeru Ban: Papillon, Sou Fujimoto: Boston Terrier, Torafu Architects: Jack Russell Terrier, Toyo Ito: Shiba
Nella selezione di tutti gli interessanti lavori ne scelgo alcuni che colpiscono per la loro eleganza, altri per quella immedesimazione di cui si parlava sopra e due per il controverso impatto suscitato durante la visita.

Francesco Lissoni si è presentato con il suo vivace compagno peloso, ispiratore del progetto nella sua partecipazione alla vita dello studio di progettazione. Osservando infatti il comportamento suo e di altri cani, si nota la tendenza a rifugiarsi sotto le panche o i tavoli per schiacciare un pisolino. Da qui si è pensato ad un oggetto che risponda alla funzione del riposo, associando a questo un valore onirico, immaginando che come un aereo in frequente volo abbia bisogno di un hangar, così la bestiola cerchi asilo dopo i suoi viaggi perlustrativi per la città. L’hangar per Yorkiepoo di Lissoni è più chiuso ed offre uno spazio accogliente, da posizionare nel luogo in cui cane e padrone passano più tempo durante la giornata.
Più artistica l’ispirazione di Iacchetti che, non avendo l’esempio diretto di un animale domestico, ricorre alla sua rappresentazione negli amati dipinti rinascimentali, in particolare Caccia Notturna di Paolo Uccello, dove il Levriero Italiano è associato ad una frenetica attività.

Anche per l’architetto italiano è chiaro l’invito a creare un oggetto non prettamente funzionale, e la scelta della razza risiede nella sua eleganza innata, è “un cane disegnato benissimo”. Così il ricordo di scene antiche ed epiche, dalla perfezione geometrica, porta ad immaginare quel carattere irruento in un corpo armonioso accanto ad una costruzione che assomiglia alla Tenda di Costantino, nel ciclo di affreschi Storie della vera croce di Piero della Francesca. L’opera di Iacchetti è una metafora del rifugio di un nobile combattente, ma molto più comoda di una tenda da campo.
Indagano nuove modalità di interazione tra uomo e cane le costruzioni in legno della serie D-Tunnel di Kenya Hara, dove l’animale gioca a percorrere scale interne o esterne, prima di raggiungere una posizione che permette di guardare il padrone negli occhi, in una relazione spaziale non più gerarchica. Allo stesso modo Atelier Bow-Wow pensa ad un oggetto architettonico percorribile per cani dal corpo lungo e zampe corte, prevedendo che il corrispettivo umano si possa inserire sedendosi come su una chaise longue, abbassando il capo al campo d’azione del bassotto.

Lascio al visitatore di Architecture for Dogs la scoperta di altre utili o divertenti soluzioni solo per non anticipare troppo della mostra, ma non prima di esprimere alcune perplessità scatenate da due lavori. Sono due progetti che sicuramente pongono l’interazione giocosa come primario obiettivo.
Non appena ho visto Cloud, di Reiser+ Unemoto, ho ricordato Gloria, la Chihuahua di mia sorella, pensando che non l’avrebbe mai indossato volentieri. Eppure il tessuto tecnico che potrebbe avvolgere il corpo del cane è stato pensato sul suo temperamento, e all’effetto calmante nel suo gonfiarsi in un modello di ondulazioni benefiche, creando un cuscinetto climatico e fornendo protezione per la debolezza delle ossa. Interessante anche la connessione tra uomo e animale attraverso il prolungamento del guinzaglio come fosse un’articolazione comune. Fin qui tutto bene, ma se i designer presentano il lavoro come “illusione di una massa maggiore (che) si addice alla grande personalità del Chihuahua”, restiamo ancorati ad una visione antropocentrica, come se il nostro desiderio di apparire fosse condiviso dall’animale.

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Se i cani sono stati considerati, da studi scientifici, incapaci di riconoscersi, Paramount insiste invece sul fatto che i proprietari di questa razza ne siano convinti. L’oggetto architettonico è infatti costruito attorno ad uno specchio con le luci laterali da diva hollywoodiana, con una scaletta per raggiungerlo ricoperta di un tappeto in stile kilim. Mi sembra una visione totalmente umana del tipo di intelligenza e sensibilità canina, ma potrei non aver compreso l’ironia. Forse l’architetto desidera mettere in guardia contro i rischi dell’umanizzazione animale e suggerire che il destino di una convivenza sarà la condivisione delle abitudini?

La leggerezza di Cloud e i riflessi di Paramount potrebbero spingere la riflessione verso un livello più simbolico, ad animare una discussione sul complesso e pervasivo rapporto tra specie. Architecture for Dogs è interessante anche per questo: ad aprire visioni e scatenare dubbi sulla trasformazione dei bisogni.
Fino al 16 febbraio 2025. ADI Design Museum, Piazza Compasso d’Oro 1, Milano
Michela Ongaretti