Tom Ford rientra alla perfezione nella definizione di persona multipotenziale. Il termine descrive in psicologia un individuo molto curioso e con un forte interesse ad approfondire più discipline nella propria vita, anche in settori che tra di loro non hanno nulla a che fare, capaci di creare interconnessioni originali e creative. Particolarmente interessante si rivela la produzione cinematografica, che sviluppa la sua narrazione attraverso immagini che risentono dell’ esperienza nell’ambito della moda e della sua comunicazione visiva.
Tom Ford nasce nel 1962 in Texas, crescendo senza i privilegi di una famiglia agiata o grandi stimoli, con un’irriducibile desiderio di espressione creativa.
Con i genitori cambia casa diverse volte per poi scegliere la vita da solo e perseguire gli studi che concluderà più tardi rispetto ai suoi coetanei. Dapprima si interessa al design per poi passare alla storia dell’arte e infine si laurea in architettura. Ma è dopo un breve impiego presso l’ufficio stampa di Chloé a Parigi che trova la sua strada nel mondo della moda e nel 1988 spicca il volo sotto la supervisione di uno dei big della storia fashion, Marc Jacobs. Nel 1995 rilancia il brand Gucci, successivamente diventa Creative Director di Yves Saint Laurent. Infine fonda il suo brand indipendente Tom Ford, che trova impareggiabile successo dapprima con le collezioni di occhiali e poi con le linee maschili e femminili.
La sua passione per l’arte lo porta a frequentare lo Studio54 di New York che non solo gli apre le porte per la gotha della moda ma anche a raffinare il suo gusto artistico.
Non a caso le campagne da lui realizzate vedono la partecipazione di fotografi del calibro di Richard Avedon, Steven Meisel, Helmut Newton, Herb Ritts fino a Terry Richardson, il suo alter ego in pellicola. Ma la poliedricità di Ford non si limita ai suoi studi: nel corso degli anni lo stilista americano si sfida anche come regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e all’occorrenza anche come fotografo e modello/attore (sempre e solo di sé stesso).
Così nel 2008 inizia un nuovo percorso e dopo aver acquistato i diritti del romanzo di Christopher Isherwood inizia le riprese del film “A single man”.
La pellicola verrà presentata in concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ottenendo un’ottima accoglienza. Colin Firth, attore protagonista, inoltre si aggiudica la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Ma questo è solo l’antipasto.
Il 2016 è l’anno del suo più acclamato lungometraggio, Animali notturni. Presentata in concorso alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, la sua seconda opera sul grande schermo vince il Gran premio della giuria. Ma non finisce qui perché pochi mesi dopo riceve le sue prime due candidature ai Golden Globe come miglior regista e miglior sceneggiatore e due candidature ai BAFTA come miglior regista e miglior sceneggiatore.
Tom Ford si distingue per coerenza, una dote sottovalutata in quest’epoca.
Proprio questa qualità riesce a restituirgli successo e gratificazione nel suo lavoro. Sia nella moda che nel cinema ritroviamo Ford nelle sue più personali sfaccettature. Ad un primo sguardo si può ridurre il suo stile a definizioni come classico, neutro, aspirazionale, elegante… ma scavando dietro questa maschera di perfezione scopriamo che la sua arte non è semplicemente decorativa ma nasconde le fragilità di un uomo cresciuto negli anni del fermento politico-sociale, in un contesto di rifiuto del diverso in cui l’uomo non può permettersi di manifestare apertamente la propria sensibilità.
Emblematico è l’approccio e la visione che ha verso i due sessi, sia nelle collezioni di moda sia nei suoi lungometraggi. Se la donna è legata al concetto della New York degli anni Settanta incline all’ostentazione e a ignorare la sua vera natura, l’uomo è discreto, tradizionale e all’interno di questa apparente calma riscopriamo vivide e fragili emozioni. D’altronde Tom è l’uomo che usciva nel finale di passerella Gucci vestito con un tuxedo classico e un bicchiere di whisky in mano.
Questo dualismo tra inconsistenza (donna) e concretezza (uomo) lo ritroviamo nei film.
I personaggi sono interpretati da un cast degno di nota, come Julianne Moore e Colin Firth in “A single man”, e Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Michael Shannon in “Animali Notturni”, che sanno mettere in scena le opposizioni di genere e intuitivamente il rapporto che il regista ha con la madre.
Nei suoi lavori di Tom Ford ritroviamo la costante della drammaticità che viene trattata in modo maniacale. Il cineasta stesso si è definito un ossessivo, un perfezionista e grazie a questa sua ricerca della perfezione è riuscito ad eccellere in diversi ambiti. Le sue collezioni ma anche le sue pellicole sono avvolte da un alone di mistero e di fascino. Sono spiazzanti e allo stesso tempo accoglienti, la disillusione che traspare è il gancio perfetto per accaparrarsi l’attenzione dello spettatore/fruitore.
In tanti considerano Animali Notturni un meta-thriller, finzione e realtà si intrecciano in tempi ben calibrati.
Ambientato in Texas, il film narra la storia di una giovane donna brillante e facoltosa che si lega ad un giovane scrittore meno abbiente di lei. Dopo aver lottato contro la sua famiglia sposa il suo innamorato ma ben presto le fragilità di lui la faranno allontanare. Abortirà a sua insaputa e ricomincerà una vita più semplice, con un uomo del suo stesso tenore di vita, che la tradirà senza remore. Negli anni perderà l’entusiasmo per l’arte, sua ragione di vita da ragazza, e si ritroverà sola e annichilita dalla sua esistenza priva di passioni. Un giorno il suo ex marito le recapita un libro in cui traspone il dolore e il percorso interiore affrontati durante la fase di separazione.
Nel romanzo i personaggi principali sono tre: un marito che rappresenta l’autore, una moglie, che rappresenta l’amore perduto, e una figlia adolescente che sublima l’assenza di quella mai nata.
Il protagonista sulla pagina incarna tutta la debolezza del personaggio, se ne prende carico permettendo la catarsi dal trauma affettivo, il suo superamento. L’uomo nel romanzo permette a un gruppo di psicopatici di rapire moglie e figlia, di violentarle e ucciderle brutalmente dopo essersi scontrati goliardicamente in auto e avergli bucato una gomma. Lui viene sopraffatto dalle emozioni, dai sensi di colpa, dalle fragilità. Rimane congelato fino a quando, abbandonato nel deserto non si risveglia e incontra un poliziotto che seguirà il caso, nemesi del suo lato anemico. Al romanzo l’uomo affida tutta la sua natura di vittima. Così il protagonista del film ristabilisce un equilibrio che trova il suo massimo compimento alla fine, quando non si presenta al ristorante dove la sua ex moglie lo aspetta per ore.
“A Single man” è ambientato nel 1962. Il dato storico è importante non solo perché coincide con l’anno di nascita di Tom Ford, ma perché è il leitmotiv della pellicola.
I primi anni Sessanta sono caratterizzati dal terrore di un attacco missilistico, l’ansia che ne deriva porta la gente a temere per la propria incolumità e a dare alla vita un significato diverso, sapendo che potrebbe finire da lì a poco. Il protagonista del film vive in questa dimensione di “condizione ultima” non solo per le guerre in atto ma in particolar modo a causa della morte del suo compagno avvenuta tramite incidente stradale. George guarda sempre al passatoe la sua incapacità di rivolgersi al futuro lo porta inevitabilmente a pianificare il suo suicidio.
Durante il film vediamo come il protagonista cerchi di contenere i suoi sentimenti. Ci accorgiamo di come la resa di questa contraddizione venga spesso affidata all’uso del colore: ogni qualvolta che qualcosa suscita in lui un fermento di qualche tipo la scena dalle tonalità fredde e scariche di colore si pigmenta e diventa satura (in particolare le labbra e la carnagione dei personaggi direttamente interessati). Anche in questo caso troviamo l’alterità di una donna incapace di guardarsi dentro e il ruolo di un giovane studente che impersonifica la catarsi dal nichilismo. Il senso della morte pervade i pensieri del professore fino a che non si lascia andare. Fino ad abbandonarsi alla spontaneità e onestà delle sue più recondite emozioni.
Le due pellicole presentano temi comuni che nascono e si fondono con l’esperienza biografica e curriculare del regista.
La perdita è un argomento intrinseco per Ford: la morte, la fine di una relazione, il passaggio a una età più matura sono sentimenti che provocano nei personaggi dapprima disagio e confusione emotiva e successivamente rancore, apatia e nichilismo. Questo spettro emotivo viene visivamente raccontato dal regista attraverso l’uso del colore (color grading). Le situazioni che i personaggi vivono con maggior sconforto vengono desaturate e raffreddate portando lo spettatore in una dimensione angusta, che rappresenta il loro vuoto interiore. Per converso le emozioni più spontanee ed oneste sono rese con colori che mutano per farsi vividi.
Anche l’alternanza tra sogno, realtà e flashback esorta lo spettatore a fare esperienza di questo movimento viscerale: Tom Ford è un uomo evidentemente sensibile ed è attraverso le sue opere che analizza l’arcobaleno della sua intimità. Tutti i personaggi sembrano rappresentare parti della sensibilità dello stesso Tom Ford, sono tasselli evolutivi raccolti da un passato (quello del Texas) arido. Il diverso viene incriminato e assoggettato alla calunnia. Non a caso anche il tema della solitudine e della maschera sociale non mancano nel suo lavoro.
In conclusione, il cinema di Tom Ford è un’esperienza emotiva e profonda seppur ancora acerba, in evoluzione. La sua coerenza e onestà però lo fanno salire sul podio del film d’autore, perché al di là della forma e dello stile il cinema è un mezzo per raccontare delle verità. Questo lo ha saputo fare.
Giada Destro