Il museo nel quale vale la pena inoltrarsi, sfuggendo ai problemi o alla monotonia quotidiani, si chiama Davia Bargellini. Non deluderà il percorso insolito e avventuroso che conduce tra le sale, ricche di curiosità e capolavori della Bologna che fu. Strada Maggiore, numero 44.
Certo i rimedi effettivi contro il caldo soffocante per chi non si trova in vacanza sono pochi, ma il rifugio in grandi chiese o storici palazzi aiuta a viaggiare con la mente, perchè l’amante dell’arte non si nutre solo di contemporaneo; talvolta trova stimoli in luoghi sconosciuti ai più, tra marmi e antiche pitture. Per chi capita nella città emiliana, percorrendo la principale arteria della città ovvero Strada Maggiore, si troverà ad un certo punto davanti agli omenoni di Palazzo Davia Bargellini.
Il Davia Bargellini è quel tipo di consolazione sconosciuta anche a gran parte dei bolognesi stessi, per questo forse più emozionante da visitare, per lo stupore che si prova quando si nota la sua condizione di “solitudine”. Preziosa per il flâneur di ogni tempo.
Situato proprio di fianco alla chiesa di Santa Maria dei Servi, dove tra l’altro è conservata la celebre pala del Cimabue, svetta l’imponente palazzo senatorio, che nella sua completezza manca di un elemento fondamentale dell’architettura bolognese, il portico. Quest’ultimo era evitato dalle famiglie più abbienti. Evitavano così il via vai sotto il portone di casa. I Bargellini erano appunto inizialmente mercanti che in breve diventarono uomini di governo, con importanti cariche militari ed ecclesiastiche.
Mi capitava di finire casualmente tra le sale del museo quando studiavo a Bologna, saltavo svogliato le lezioni e trovavo riparo in un posto ricco di storie stratificate. Ad accogliermi due telamoni possenti e severi, risalenti all’anno 1658, ricavati da blocchi di masegne dell’Appenino. Sono opera dello scultore Gabriele Brunelli, il quale si fece aiutare dall’allievo Francesco Agnesini. I due diedero alla luce un esempio scultoreo unico in città.
Prima di accompagnare il lettore nel viaggio odierno in una sede museale così caratteristica è bene ripercorrere la storia del palazzo che la ospita.
Nel 1610 Camillo Bargellini acquistò un preesistente palazzo rinascimentale appartenuto ai Desideri, spostandosi dalla vicina e ormai non più consona alle sue esigenze Via Begatto. Fu però il 1638 a segnare l’inizio dell’opera architettonica, in gran parte come la vediamo oggi.
L’esterno disegnato da Bartolomeo Provaglia, architetto esponente del barocco locale, ci invita a varcare il portone sulla destra, dove è consentito sbirciare ma non salire. Maestoso ci appare lo scalone bianco a tenaglia. Voluto successivamente nel 1730 da Vincenzo Bargellini, è opera degli architetti più in voga del tempo: Francesco Dotti, Alfonso Torregiani e Antonio Conti.
Nel XIX secolo il palazzo passò in eredità alla famiglia Davia, Ultimo suo membro, amante delle arti e pittore dilettante, Giuseppe Davia Bargellini, nel 1874 istituì erede universale l’Opera Pia, ancora operante, e impegnata nella promozione e nel restauro dei beni acquisiti.
Oltre lo scalone appare la possente statua di Ercole che fa da quinta nel giardino quasi invisibile, che spero un giorno venga sfruttato maggiormente. E’ però il piano terra che rapisce gli occhi del visitatore con gli svariati oggetti che custodisce.
Qui parte il percorso museale strutturato nel 1924, suddiviso in più sale, tutte cariche di oggetti e opere d’arte come delle wunderkammer della Bologna che fu. Colpisce la varietà dei pezzi, presenti grazie ai lasciati di illustri famiglie: tra mobili del ‘600 bolognese, anche in uno stile più rustico, stipetti da muro, salarole, piatti e scodelle, avrete modo di immaginarvi le tavola tra gusto e capriccio di una nobile famiglia bolognese.
Le ceramiche e maioliche hanno diverse origini. Napoletane o tedesche, sono ben presenti anche quelle della vicina Faenza.
Non fatevi sfuggire il set delle maioliche commissionate dei Bentivoglio, sulle quali vedrete il loro stemma a forma di sega, rarissimo a causa della damnatio memoria della famiglia. Quando Papa Giulio II prese la città i Bentivoglio furono cacciati, senza rimpianto dei bolognesi per il governo tirannico subito. Una via testimonia nel nome la distruzione del loro palazzo nel XVI secolo, via del Guasto.
Dagli oggetti da arredamento si passa ai dipinti su tavola o su tela, con la possibilità di osservare da vicino i maestri della scuola trecentesca emiliana. Preziosa la Madonna dei denti firmata 1345 di Vitale da Bologna, forse pervenuta alla famiglia durante le soppressioni napoleoniche dall’Oratorio di Mezzaratta, poco fuori le mura delle città. E’ un’immagine delicata, che contrasta col gotico più crudo della Pietà (1368), commissionata da uno scolaro a Simone dei Crocifissi. Dai toni quasi bizantini è invece la Madonna del Vivarini, già parte di un polittico un tempo nella vicina chiesa di San Giacomo.
Guardando il San Petronio in gloria dai vivissimi colori di Innocenzo da Imola, potrete vedere l’antica Bologna protetta dalle sue mura, fierissima poggia sul ginocchio sinistro del santo.
Sacro e abbagliante è il corpo del santo milanese Sebastiano, di un pittore poco conosciuto come il carpigiano Marco Meloni, d’ispirazione al Perugino. Opposto a lui è un primo piano con forte resa psicologica di Amico Aspertini, colui tra quelli che fece parte del rinascimento bolognese.
Dopo una cappellina settecentesca ricreata tra reliquie e ostensori appare in tutta il suo splendore un principesco giocattolo, una casa di bambola arredata minuziosamente, esempio di arte gaia portato al suo apice, piuttosto insolita da vedere in Italia vista la sua diffusione più nordica. Dal lussuoso palazzo in miniatura potrete ora far impazzire gli occhi a contare l’immensa quantità di oggetti dipinti e immersi una grande cucina dall’atmosfera irreale opera del tedesco Jozef Heintz il Giovane.
Da osservare con attenzione le sculture in terracotta policroma degli scultori locali che meriterebbero un’eco più ampio, la statuetta settecentesca del contadino che si spulcia.
Dulcis in fundo, attorniata dallo sguardo della piccola contessa Bargellini dipinta dalla pittrice Lucia Casalini Torelli, dagli amorevoli putti presenti nelle opere di Marcantonio Franceschini, e dall’erotico nudo sdraiato scolpito da Ercole Lelli, famoso per la sua scuola di ceroplastica, l’immensa carrozza, che qui in centro fa da padrona e ci ricorda ancora una volta che Bologna è una ricca signora.
Descrivere ogni opera diventa un’impresa difficile, qui bisogna immergersi e tornare innumerevoli volte, dando attenzione ad ogni dettaglio che merita di essere scoperto.
Se non siete ancora sodisfatti delle innumerevoli curiosità antiche, il calendario del museo offre mostre che presentano artisti del panorama contemporaneo, il cui loro lavoro artistico dialoga con quello presente in palazzo. Fino al 25/09/22 è visitabile la mostra dal titolo “Fresco” curata da Elisa del Prete con opere di Davide D’Elia. L’antico che apre le porte al contemporaneo, così come io vi invito ad aprire il portone del palazzo per ritrovarvi in un’altra dimensione, intrecciata e caotica.
Bohdan Stupak