Arte ambientale da cinquant’anni. Un museo su una collina incontaminata in Toscana, che continua ed evolversi nell’integrazione con una preesistenza. Quarantacinque ettari di esposizione permanente. Una collezione unica nel nostro paese e in tutto il mondo, nata da una scelta di vita totalizzante a stretto contatto con diversi protagonisti dell’arte contemporanea internazionale. Questo è l’universo di Giuliano Gori e della sua Fattoria di Celle.

Arte ambientale della Collezione Gori. Progetti murali 445 e 494 di Sol Lewitt e Anello verde di prato di Richard Long (1985). Ph. Simone Bravaglieri
Ho avuto la fortuna di passeggiare nello stupore delle installazioni disseminate nella Natura, materia viva di cui l’Arte si fa interprete, cedendo ad essa il “privilegio assoluto”. Il mio viaggio, in questo caposaldo della produzione e del lascito dell’arte ambientale, è stato ancora più prezioso di quello che appassiona molti visitatori in ogni stagione. Ho potuto infatti conoscere e intervistare il suo paziente e ostinato creatore.
Giuliano Gori è un raro mecenate moderno. E’ lui è il rappresentante del genius loci con cui grandi artisti si sono confrontati nella realizzazione delle ottanta opere della tenuta, nei locali agricoli ristrutturati ad hoc e nel parco che rivela tracce del settecentesco giardino romantico. Mi ha raccontato la genesi della passione che si è trasformata in missione, fortemente voluta dal 1970, della sua esperienza accanto agli artisti in residenza e del rapporto tra la loro ricerca e l’organismo vivo di Celle. Nella generosità delle sue parole ritorna spesso “noi”, con la consapevolezza dell’eredità che lascia ai diciotto nipoti e bisnipoti, e alle future generazioni.

Arte ambientale della Collezione di Giuliano Gori. Intervista in Fattoria. Ph. Francesco De Molfetta
Ci troviamo nella prima e unica collezione visitabile di arte ambientale in Italia
Si, l’idea di creare una raccolta di arte ambientale viene fin dal 1961, ed è potuta partire quando ci siamo trasferiti nel 1970 in questa fattoria. Ne avevamo un’altra che abbiamo lasciato perchè non possedeva le caratteristiche adeguate a questo scopo. Si può confondere l’ arte ambientale con l’arte ambientata. Nel primo caso per la realizzazione di una sola opera ci vogliono in media cinque-sei mesi ma alcune superano i due anni. Per questo non esistono collezioni o musei d’arte ambientale, perché non è uno scherzo realizzare le opere stando alle regole. Se si compra una scultura e la si colloca dove si ritiene sia il luogo migliore della proprietà..è un discorso diverso. La differenza è che noi produciamo.
Quando un artista sceglie lo spazio esso non è più un contenitore, deve diventare parte integrante del lavoro. Il rapporto con l’ambiente circostante è logicamente differente negli interni ma altrettanto fondante: ad esempio Sol Lewitt ha un’installazione fuori e una importante nell’ex granaio.
E’ un’esposizione in progress. E’ facile un giorno venire qui e trovare gli artisti che lavorano

Arte ambientale della Collezione Gori. La cabane éclatee aux 4 salles di Daniel Buren (2005). Ph. Simone Bravaglieri
Le era già chiaro come affrontare la costruzione di un parco d’arte ambientale quando venne qui?
Non ho dovuto studiare un problema, perchè era maturato da lungo tempo. Vedere le opere iniziare a crescere era la cosa più naturale del mondo perché l’idea di ciò che volevo costruire era “sedimentata”, sapevo bene cosa volevo. Molti non avrebbero immaginato cosa avrebbe richiesto realmente tutta l’operazione e io stesso mi sorprendo oggi riflettendo su come siamo riusciti a portare avanti un discorso così importante e impegnativo; ho trasferito qui tutto, vita, lavoro e famiglia. La collezione si divide infatti in due tempi: il primo subito dopo la guerra, nel 1952 era già stata presentata la nostra collezione che non ha nulla a che fare con quella di arte ambientale, e in seguito quello di Celle.

Arte ambientale della Collezione Gori. Tema e variazioni II di Fausto Melotti (1981). Ph. Simone Bravaglieri
Negli anni Cinquanta non aveva ancora individuato il suo interesse specifico nell’arte ambientale?
La nostra palazzina di Prato all’epoca era una specie di cenacolo. Eravamo nell’ombelico d’Italia, per chi andava da Roma a Milano o Torino, e viceversa. Gli artisti di passaggio si fermavano spesso da noi, suonando il campanello a tutte le ore.
La collezione non aveva l’orientamento specifico di oggi. Ma non ho mai rinnegato quei momenti: ho qui il primo quadro comprato nello studio di un pittore locale, visitato per una commissione che non c’entrava col collezionismo; ero rimasto colpito e affascinato dal suo lavoro. Fanciullacci, l’artista così si chiamava, volle regalarmi il dipinto ma io insistetti per pagarlo. Certo un gusto personale si affina nel tempo.
Si chiede spesso come uno ha iniziato ma in realtà trovo che bisognerebbe davvero chiedere perchè ha continuato. E’ lì il segreto. Perpetuare. Credere e continuare spinge a migliorare, ad avere un rapporto diverso con l’opera d’arte..così man mano si diventa più esigenti e si porta avanti un discorso programmatico.

Arte Ambientale della Collezione Gori. Cellsmic di Michel Girard ( 1990). Courtesy Fattoria di Celle
Lei ha passato una vita a stretto contatto con artisti di fama internazionale
Avere un’azienda commerciale mi ha dato il gran privilegio di andare in giro per il mondo e incontrare gli artisti. Volevo sempre conoscere personalmente gli artisti, perché solo da loro loro si può avere una chiave di lettura delle opere, si entra nella mente che forma l’opera. E’ questo che mi ha permesso di fare l’ arte ambientale.
Da un secolo l’artista non collaborava più col committente. Gli artisti più bravi facevano tutto ciò che concerne oggi l’arte ambientale: dovevano collocare, ad esempio una pala d’altare, a seconda dell’architettura della luce e tutta una serie di complicazioni che risolvevano. Dalla fine dell’800 si sono rifiutati di fare opere su richieste specifiche: fanno ciò che vogliono, lo danno al gallerista o mediatore, e lo buttano nel mondo senza sapere dove vada a finire. In realtà in passato il grande talento consisteva in quel margine prezioso di individualità che riuscivano a trasmettere, così se non fossi stato così in amicizia con un artista non avrei potuto chiedere due anni di lavoro…

Arte ambientale della Collezione di Giuliano Gori. Venere di Robert Morris (2012). Ph. Francesco De Molfetta
Quindi molte opere hanno richiesto lunghi soggiorni in Fattoria, delle vere e proprie residenze
C’è chi si ferma il necessario, e chi rimane a lungo come fece Bob Morris per il suo labirinto. In quel periodo ha vissuto più a Celle che a casa sua, proprio per una connessione di energie abbiamo passato molto tempo insieme. Bukichi Inoue è stato qui 25 mesi. Tanti andavano e venivano molte volte.
In tutta l’operazione ci sono state tante situazioni e tanti cambiamenti di umore, ma un progetto consolidato e di passione deve essere così per essere ricordato come reale accudimento all’arte.
Il collezionisti possono avere i più svariati approcci, ne ho conosciuti di veramente importanti e ognuno si esprime a modo proprio. Un americano scrisse agli eredi prima di morire di non conservare le opere, ma di venderle. Siccome erano state strappate al pubblico per entrare in una raccolta privata, allora dovevano ritornare in circolazione, essere distribuite in più zone del mondo possibili.

Arte Ambientale della Fattoria di Celle. Il Labirinto di Robert Morris (1982). Courtesy Collezione Gori
Aldilà delle scelte artistiche lei ha sempre avuto coscienza di ciò che andava costruendo?
Quando ho avuto l’idea di produrre arte ambientale ero critico verso me stesso perché capivo il grande coinvolgimento futuro, anche della mia famiglia. Ho avuto sempre uno stretto rapporto con artisti e critici ma Celle era un pò come fare un passo nel buio. Arrivato ero anche un pò spaventato per l’enorme lavoro di sistemare la villa e il parco ma sapevo come sarebbe andata, tranne l’idea di aprire al pubblico.

Arte ambientale della Collezione di Giuliano Gori. Dimitri Prigov, dettaglio dell’installazione del 1989. Ph. Michela Ongaretti
La vertigine del lasciarsi andare è pur piacevole, solo che uno ha anche un senso di responsabilità. Mia moglie non voleva venire a stare qui perché lo riteneva troppo invasivo per la famiglia. Nella Pasqua del 1970 siamo stati “ospiti” nella villa già pronta con tanto di personale. Noi non siamo più tornati a casa nostra e mia moglie non mi ha mai chiesto se fosse nostra. Un giorno da Prato la collezione è entrata a Celle con un camion, è stato un momento meraviglioso che mi mette gioia nel ricordarlo.

Arte ambientale della Collezione di Giuliano Gori. Il ritratto di Andy Warhol tra i cataloghi sulla raccolta. Ph. Simone Bravaglieri
E’ interessante che lei non volesse tanto tesaurizzare quanto produrre instaurando un dialogo
La soddisfazione viene dal riconoscimento di questo aspetto, persino dall’adesione futura a quel principio. Ad esempio è nato un museo vicino a New York che fa riferimento a noi. E’ di sola Arte Povera italiana, anche se gran parte prodotta in America. Il collezionista che lo ha creato è sardo e dichiarò: noi siamo nati da Giuliano Gori.

Arte ambientale della Collezione Gori. Servi Muti di Roberto Barni (1988). Ph. Francesco De Molfetta.
Come avviene la genesi di un’opera ambientale?
Serve una sensibilità naturale per capire se l’artista è preparato a quel tipo di operazione, che è complicata. Prima di arrivare alla scultura nel parco deve dare prova di capire il valore del luogo, la sua storia e quella dei materiali. All’artista non si chiede un progetto, quelli li fanno gli ingegneri e gli architetti, ma esprime delle idee che poi in corso d’opera possono essere sensibili di cambiamenti, che bisogna capire in che misura saranno tollerabili. Si capisce se è adatto nel dialogo e nel confronto con me. Chiedo di scegliere due spazi per la sua idea, e deve sapere se e perché siano adatti. Poi l’opera parla da sola, io vedo che funziona.

Arte ambientale della Collezione di Giuliano Gori. Il mio buco nel cielo di Bukichi Inoue (1989), particolare. Ph. Simone Bravaglieri.
Ci sono state delle discussioni memorabili?
Non interverrei mai sull’opera chiedendo ad esempio delle dimensioni, in genere abbiamo superato anche questo ostacolo: chi viene non può muovere niente.
La Natura nel suo spazio ha il privilegio assoluto, non si possono tagliare alberi o modificare la pendenza. La cosa più difficile e importante per noi è lasciarla come l’artista l’ha lasciata intorno all’opera. E’ materia viva, che cambia nasce e muore, altrimenti è inutile chiamarla arte ambientale.
Una volta si contrapponeva l’Arte alla Natura invece è un impegno qui quello di restituire alla natura la sua predominanza.
Si traduce in questo: l’ arte ambientale è l’unica nel farsi tutore della natura non potendola modificare. Quale arte esiste al di fuori di questa?

Arte ambientale della Collezione Gori. Scultura Flottante Celle di Marta Pan (1990). Ph. Simone Bravaglieri
Rispetto alla patina, al naturale invecchiamento delle superfici…anche l’incedere del tempo è significativo. Ma essendo un luogo unico per la concentrazione di opere ambientali, la sua manutenzione è oggetto di studio?
Abbiamo collaborato con l’Opificio delle Pietre Dure Firenze, il primo ente riconosciuto nel mondo per il restauro, al primo master di Restauro dell’ Arte Ambientale. Il master è nato qui, ed è già iniziato il secondo. Rispetto ad altre collezioni qui possiamo monitorare all’infinito cosa succede nel tempo alle opere. Inoltre si osserva il comportamento di tantissimi materiali dal cemento al marmo, al bronzo. E’ il luogo ideale.

Arte ambientale della Collezione Gori. Cavaliere di Marino Marini (1980). Ph. Michela Ongaretti
All’ingresso della tenuta si nota la grande scultura in ferro di Alberto Burri. In che modo è integrata al contesto?
In quel punto c’era una grande buca, lui ha ridisegnato l’aiuola e ha fatto un’opera che non togliesse visibilità, dato che si trova all’imboccatura di una curva della strada. Una scultura chiusa poteva essere pericolosa. Ha superato il problema creando un’opera attraversabile con lo sguardo. Ha lavorato a lungo su tre ogive con tre viste differenti, mantenendo la struttura aperta.
Burri era un nostro carissimo amico, un personaggio. Prima di tutto è stato una persona che ha creduto nel suo lavoro in maniera totale e senza compromessi. Faceva un grande studio della materia. Era molto riservato, e inavvicinabile da un certo punto di vista. Andava a caccia per trovare il massimo del ritiro in una casetta in montagna sopra a Città di Castello, ed io ero l’unico ad avere il numero di telefono, nemmeno sua moglie l’aveva!

Arte Ambientale all’ingresso di Villa Celle. Grande Ferro Celle di Alberto Burri (1986). Courtesy Collezione Gori
Realizzare opere come quella di Sol lewitt avrà richiesto un procedimento complesso, con un’impresa, un ingegnere che garantisce per la sicurezza. Lei come si è mosso in tal senso?
Questa è un pò la nostra specializzazione, le installazioni sono tutte curate da noi. Lewitt voleva mandarmela pronta. Ma io ho insistito per realizzarla, se me l’avesse contestata ne avremmo parlato e in caso rifatta, ma poi chiese dell’impresa per un altro suo lavoro. L’ho accompagnato personalmente da loro, così come ho fatto per altri artisti.

Arte Ambientale della Fattoria di Celle. Open Field Vertical Elevations di Richard Serra (1982). Courtesy Collezione Gori
Parlando di materiali rimane impressa l’opera in pietra di Richard Serra
L’ha realizzata poco prima della sua grande mostra alle Tuileries di Parigi, con l’opera europea più importante, tonnellate di acciaio. Lo chiamavano tutti i giorni ma lui rispondeva che prima doveva finire a Celle, “dovete aspettare”. E’ stato sempre presente, voleva scegliere uno a uno i pezzi e li voleva naturali. Maniacale.
Andavamo alle cave e chiedeva tutte le pietre con un taglio di testa verso la collina come le curve di livello, le voleva regolari senza doverle scolpirle! Come le vedete fuori sono all’incirca della stessa misura nel terreno. Fu un’opera pazzesca anche in fase di montaggio.

Arte ambientale della Collezione Gori. Katarsis di Magdalena Abakanowicz (1985). Ph. Michela Ongaretti
Tutti gli artisti che hanno lavorato qui hanno prima visitato il parco per valutare l’utilizzo di un materiale?
E’ una condizione sine qua non. Non ho mai invitato un artista per venire a lavorare, gli faccio esplorare il territorio di Celle per propormi un’idea. Al secondo incontro, prima di iniziare è necessario uno studio sui materiali e sull’effettiva locazione.
Caso esemplare la Abakanowicz. Le indicai che il materiale fosse essenziale per la durata nel tempo del suo lavoro. Lei rispose: “Se tu credi che io faccia con te una scultura in bronzo ti sbagli di grosso perchè per me l’età del bronzo è passata da tempo”. A me andava bene comunque perché ero rimasto folgorato dalle sue opere alla Biennale di Venezia, e desideravo una sua opera ad ogni costo. Avevo anche messo in mezzo Restany, mio amico fraterno, ma lei era una donna durissima.

Arte ambientale della Collezione Gori. Katarsis di Magdalena Abakanowicz (1985). Ph. Simone Bravaglieri
Una volta qui le dissi di scegliere il luogo ideale precisando che soltanto in un campo non si poteva intervenire. L’indomani trovai le sue valige e mi spiegò di volersene andare perché mi considerava troppo rigido. Se non avesse potuto avere quell’area rinunciava. Pur avendo la possibilità di costruire su quell’area un luogo per le mostre temporanee, con il progetto del grandissimo architetto Arata Isozaki, lo concessi a Magdalena Abakanowicz. E’ stato un braccio di ferro, ma alla fine il lavoro è stato realizzato in bronzo. Non l’ho imposto, aveva provato di tutto, dal cemento al vetroresina, al marmo… perchè non voleva cedere, poi mi ha chiesto se conoscevo una buona fonderia. Ha capito che per tenere quel lavoro con le spigolature dei tagli era necessario, da allora è stato molto adoperato. L’ho ritrovata al Metropolitan di New York con opere in bronzo…
Anche Serra ha cambiato materiale, chi se l’aspettava che l’avrebbe fatta in pietra. E’ l’energia forte di Celle che spinge a modulare le scelte sul contesto.
Michela Ongaretti
La Collezione Gori-Fattoria di Celle si trova in via Montalese 7 a Santomato (Pistoia)

Arte ambientale della Collezione Gori. Vista sulla vallata. Ph. Francesco De Molfetta