Ha inaugurato il 20 aprile 217, presso la galleria Officine dell’Immagine di Milano, la mostra collettiva WORKS ON PAPER a cura di Marco Massaro. Tra gli artisti italiani ed internazionali rappresentati dalla galleria sono stati selezionati coloro che utilizzano come supporto la carta, con grande versatilità secondo una personale e riconoscibile poetica: Elisa Bertaglia, Alessandro Cannistrà, Safaa Erruas, Tamara Ferioli, Farah Khelil, Nunzio Paci.
La carta, cosa c’è di più evocativo per la scrittura? Non pensiamo soltanto a quella composta da lettere ma da quella da tutti comprensibile senza divisioni linguistiche, quella del segno.La carta invita, facilita l’artista alla sua manipolazione e distorsione, pur nell’implicito rispetto verso le sue potenzialità grafiche.
Il contenitore mantiene la memoria del suo prezioso contenuto, la tradizione della linea, del disegno ad ogni modo, per ogni scopo.
La storia dell’opera d’arte mobile inizia con il suo supporto più leggero, il foglio. Ad esso sono stati affidati innumerevoli messaggi e da quando le discipline artistiche hanno iniziato a vivere liberamente senza gerarchie, separate o rimescolate a comporre un’unica opera d’arte, esso non è più veicolo di bozzetti o disegni preparatori, ma rivive la sua grande diffusione nell’arte contemporanea come punto di partenza di grandi sperimentazioni.
Fino al 20 giugno sarà possibile osservare, in via Vannucci 13, le visioni di chi ha lavorato con la carta, non soltanto su di essa. I modi di rapportarsi al supporto sono diversi, chi in maniera più tradizionale affida ad essa segni grafici e pittorici, con contenuti introspettivi affatto tradizionali, chi pur rispettando la superficie piatta cambia il suo volume con inserti polimaterici, chi manipolando la superficie stessa del foglio per stravolgere la sua bidimensionalità.
Sarà un caso ma Artscore dopo l’intera visita dei due piani del locale di decide di fermarsi ancora al primo, dove si trovano le opere degli artisti Farah Khelil, Tamara Ferioli e Alessandro Cannistrà, considerando saggia l’idea di avvicinare alle vetrine il linguaggio a nostro avviso più innovativo.
Il percorso inizia con le opere di Farah Khelil della serie IQRA ossia “Leggi!”. I disegni sono composti da spirali di scritte a matita minuziose e così minute da risultare quasi indecifrabili, che si sviluppano come ad esser generate intorno ad un vero e proprio microchip, posizionato nel centro geometrico preciso.
Sono parole in arabo, quindi per la maggior parte di noi incomprensibili, ma per la verità una voluta sfida alla comprensione di chiunque. L’imperativo Leggi! suona quindi una beffa sia per il limite linguistico e visivo, sia per l’impossibilità di discernere le informazioni contenute in un dispositivo trasformato in mero elemento grafico, e il sospetto sempre più reale di rimanere estromessi da un contenuto man mano che si osserva l’opera rientra nella riflessione generale dell’artista sul ruolo che l’immaginazione può avere nella lettura e scrittura di contenuti visivi e testuali, forse poco stimolata dalle nuove tecnologie. L’azione di leggere, come quella di comunicare per iscritto sono pertanto qui elementi stranianti, “di disturbo”, che separano l’artefice dai fruitori di un messaggio, favorendo la perdita del valore di trasmissione delle parole.
Proseguendo sulla parete di destra contigua alla vetrina possiamo osservare i disegni di Tamara Ferioli, rivelatori di un misterioso rapporto tra Uomo e Natura. Prese una ad una le immagini appaiono armoniche, silenziose nella composizione di segni leggeri e concatenati, quasi un ricamo che s’interrompe cambiando stile per farsi più tagliente e spezzato in alcuni punti nevralgici della rappresentazione, dove la natura nasconde il suo pericoloso potere, o dove si interrompe per lasciare spazio alle costruzioni umane. Visti nell’insieme, già tre esemplari bastano, affiora in noi un senso di inquietudine, come se qualcosa possa sempre accadere a spezzare la pace, come se gli elementi naturali ritratti possano ribellarsi all’improvviso. Forse è la sensazione provata da Tamara Ferioli a cospetto dei sublimi paesaggi dell’isola islandese Heimaey durante una residenza artistica di tre mesi, per l’osservatore è logicamente il risultato della scrittura riflessiva e metodica che a tratti si fa volutamente incoerente, come frutto di due mani diverse, a rendere un carattere quasi umano a questi soggetti che in punti visibili solo con attenzione sono descritti non più solo a matita, ma con l’inserimento di materiali organici umani e naturali come capelli e sabbia lavica. Nella simbiosi tra Uomo e Natura avviene uno scambio, un rispecchiamento insinuato.
Su una colonna al centro della sala vediamo la prime due opere presente di Alessandro Cannistrà.
All’interno di una cornice racchiusa in maniera classica dal vetro appare un uso espressivo della carta completamente contemporaneo: il foglio è stropicciato secondo una logica geometrica come una cortina scenografica che non si deve aprire, dove tutto ciò che si vuole mostrare sta sulla superficie che respira in una tridimensionalità accennata, e dove il suo contenuto è il disegno e il colore prodotto dal nerofumo ottenuto con il fuoco di una candela sulla carta. Sulla parete di fronte continua il gioco chiaroscurale di sottili sfumature, una serie di dodici opere racchiuse anch’esse com scrigni di segni ancestrali forgiati dal fuoco, con l’aggiunta del colore verde. La luce e l’ombra sono drammatizzate dalle piegature, che insieme al colore di fumo e acquerello appaiono come forme astratte ma del tutto, avvicinandosi all’idea, all’atmosfera del paesaggio boschivo o immerso nella nebbia.
I lavori non sono stati concepiti come serie ma hanno una costruzione e un senso logico indipendente, come ci spiega l’artista durante l’inaugurazione, anche se nell’insieme troviamo potenziato il suo intento di parlare al visitatore della percezione del mutamento, del costante divenire della materia come un tutto. E’ la Natura secondo la continuazione del pensiero filosofico romantico e trascendente, spietata e legittima nel suo mutare perenne, che si scontra con la natura umana nel suo inserirsi nel flusso temporale attraverso un consapevole desiderio di dare forma all’esperienza, di cercare come una psicosi la bellezza. In questa dinamica è il gesto ad essere fondamentale; attraverso il gesto si acutizza il rapporto dialettico con la casualità, con il flusso inarrestabile del tempo, lo stesso gesto che incontra ciò che è percepito razionalmente come materiale di dialogo, luogo di un messaggio umano, e ciò che non è controllabile come la potenza del fuoco.
Al piano seminterrato della galleria troviamo le opere di Elisa Bertaglia costruite sul filo di memoria e fantasia tra animali, piante, bambini e creature mitologiche, mescolando il segno preciso alla pittura “liquida” che si coagula in aree precise per dare risalto e concretezza alle figure immaginarie, a raccontare nella loro magmatica presenza una fase psichica anch’essa in mutamento, il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Ancora transizione nel rapporto tra Uomo e Natura per Nunzio Paci , ancora l’immaginazione che relaziona reale, così reale da essere scientifico e attingere alla grande tradizione del disegno anatomico, a mentale e forse ideale. Corpo umano, animali e piante sono un unico organismo secondo la perfetta ibridazione di questo disegnatore visionario e concreto.
Il reale ormai adulto continua a vivere la contraddizione della compresenza di bellezza e violenza, questa è la visione espressa dai disegni della marocchina Safaa Erruas. L’opposizione perenne dei due concetti opposti è simboleggiata qui dalla leggiadra delicatezza di fiori associati ad oggetti taglienti nelle mani di chi li sta per cogliere. Ciò che ispira tenerezza riporta anche ad una sensazione di pericolo, inevitabile non possiamo dirlo visto che non sono spinte irrazionali a farci impugnare delle forbici. Forse l’idea di un destino in ogni caso macabro poteva essere reso dalla precisione del disegno virtuosistico, se si sceglie il figurativo puro la disciplina è ciò che potenzia e sintetizza la metafora. Ci sentiamo di aggiungere però che l’artista è una grande sperimentatrice di simboli e materiali, anche se il suo stile non emerge con le opere in mostra.
Galleria Officine dell’Immagine termina la sua permanenza in via Vannucci 13 proprio con WORKS ON PAPER, ma da settembre l’attività continua con nuove mostre nella sede più ampia di in via Vittadini 11.
La mostra in corso è visitabile da martedì a sabato dalle ore 11 alle ore 19
Michela Ongaretti