Intrecci Italiani. Un oasi di fotografia, il design di Vittorio Bonacina, gioielleria per il Fuorisalone 2015

Marco Beretta-Spiritus
Anche lo spazio è in linea con l’atmosfera desiderata da Bonacina: è stato inaugurato con questa mostra ma si tratta di un laboratorio permanente, ricavato dalla ristrutturazione di un ambiente preesistente a cui Beretta ha deciso di lasciare la patina del tempo. Le pareti hanno conservato parti di intonaco e zone libere nelle quali si intravede l’anima in mattoni rossi. L’interno è nell’insieme sorprendentemente luminoso e si respira l’aria della bottega artigiana, anche per la posizione più raccolta rispetto al negozio con vetrina. Questa collezione in particolare aveva bisogno di un’ambiente più rilassato nel quale le persone potessero soffermarsi e godere di un’atmosfera più intima, a Rho l’approccio sarebbe stato più veloce e superficiale da parte del pubblico.
Dopo il Fuorisalone una zona sarà adibita a libreria vera e propria con vendita di dischi e un’altra accoglierà il marchio Ultracicli di biciclette a scatto fisso dal sapore vintage, sarà anche showroom della boutique di gioielli Anthozoa.

Poltroncina Margherita- design Albini e Heig per Bonacina
L’azienda fu fondata nel 1889 da Giovanni Bonacina: più di un secolo accompagnato dall’attenzione viva e costante per il design evergreen, con modelli che vivono diverse vite a seconda degli ambienti nei quali sono inseriti, e in base al “make up” che si decide di adottare sulle sue coperture. I pezzi di design qui esposti sono raccolti nella pubblicazione di Marella Agnelli, Ho coltivato il mio giardino, editata da Adelphi, nella quale siamo guidati attraverso gli interni delle ville e dei giardini ideati dall’autrice stessa, “popolati” dalla collezione di Bonacina presente in via Melzo con alcuni pezzi divenuti iconici. Sono mobili disegnati eprodotti tra gli anni trenta e quaranta che fanno quindi parte dell’archivio storico; negli anni settanta Renzo Mongiardino ha rielaborato e attualizzato i modelli. Ricordiamo che altri pezzi iconici sono osservabili nello showroom del gruppo Maramotti in corso Vittorio Emanuele con la curatela allestitiva dell’architetto Pacciani.

L’etichetta metallica sul midollino Vittorio Bonacina
Possiamo immaginare quante teste creative abbiano condiviso momenti salienti e in quanti progetti siano stati coinvolti i maggiori designer del novecento: Ponti, Albini, Heig, Forges Davanzati, Gregotti, Sambonet, Travasa, solo per fare alcuni nomi. Dagli anni cinquanta la rivoluzione è partita sotto la guida di Vittorio con il design di Franco Albini e Franca Heig: la loro poltrona Margherita fu premiata con la medaglia d’oro alla IX Triennale. Il risultato importante fu solo l’inizio di un investimento nella creatività dei grandi progettisti, e che fu considerato esemplare della storia del design, così far entrare Bonacina come presenza fissa in diversi musei del calibro delMuseo del Design Triennale di Milano, Vitra Design Museum, M.O.M.A. di New York. Museum of Art Philadelphia e The Montreal Museum of Fine Arts.
Ben più moderne le lampade sempre in midollino progettate da Tomoko Mizo che illuminano le creazioni Anthozoa, che a sua volta ricambia illuminando con coralli, e altri preziosi riflessi le due sedute Valentin all’interno del punto vendita in via Malpighi.

Lampada Mod. Orbita- Vittorio Bonacina
Abbiamo notato come altri visitatori si siano accorti della speciale aura di questa esposizione, si ha come l’idea generale e istintiva di una omogeneità formale, anche se stiamo guardando manufatti appartenenti a discipline diverse. La risposta di tale sensazione risiede negli intenti comuni delle tre componenti, bene espressa nel titolo della mostra. Gli intrecci italiani con cui Marco Beretta, Bonacina e Annabella Beretta di Anthozoa tessono la propria poetica sono comuni: esprimono la sensibilità al contemporaneo pur nella dimensione del materiale e della sua lavorazione manuale antica, e sono fedeli e coerenti ad una tipologia di prodotto, o di soggetto. Lavorano tutti e tre con procedimenti artigianali e “raccolgono” la base materiale sulla quale si fonda il loro lavoro in estremo oriente.
Marco Beretta presenta la mostra “Spiritus”, nata da viaggi tra Birmania e Laos; come tutte le sue immagini realizzata con una macchina fotografica Hasselblad analogica. I suoi scatti richiedono molta pazienza e cura nell’immortalare da oltre vent’anni figure di monaci buddisti, ricerca il cui risultato è un’immagine che va aldilà delle mode e dell’aspetto estetico per concentrarsi sulle emozioni che suscitano.

MarcoBeretta, Spiritus
Non si effettua postproduzione: anche se le figure appaiono sempre in movimento l’effetto non è costruito, perchè questo movimento rappresenta una parte del significato, come se si vedesse una metamorfosi del corpo in una trasfigurazione verso l’anima in ogni figura ritratta, e che richiama un atteggiamento contemplativo e mistico nell’osservatore .
Beretta si serve di uno stampatore come nel mondo prima del digitale perchè la sua sensibilità lo porta a dare molta attenzione al supporto cartaceo, alla sua resa a seconda della texture scelta.
Allo stesso modo l’attenzione di Vittorio Bonacina e della sua casa di produzione si concentra sul monomaterico, anche se sono aperte le porte ai giovani designer per trovare declinazioni nuove che non utlizzino esclusivamente il midollino.

Vista del Temporary-Showroom di via Melzo 3
Quello che viene denominato giunco ( o rattan in inglese), proveniente da India, Manau e e Manila contiene un midollo che si estrae per trafilatura per ottenere il midollino in diversi diametri. E’ talvolta erroneamente confuso con il vimini che è un materiale povero, mentre possiamo paragonare il midollino ad un legno pregiato come il noce. La sua lavorazione è esclusivamente artigianale, dalla piegatura con il calore alla sua tessitura. Il suo utilizzo è da considerarsi ecologico perchè ciò che viene tolto non è nemmeno l’1% di quello che la Natura è in grado di riprodurre nel sud-est asiatico dove queste piante crescono selvagge molto rapidamente; non esiste il rischio di deforestazine come può accadere per i legni raffinati.
Parliamo anche di procedimenti eco-friendly, attenzione verso la quale vorremmo sempre spendere due parole per il design meritevole: qui la colorazione la polvere di anilina penetra in maniera atossica nelle fibre grazie al peso dell’acqua.

Anthozoa-anello Long Ching
Anche Annabella Beretta utilizza un approccio artigianale nella sua attività, nella sua pluriennale esperienza segue fin dal principio ogni fase di realizzazione del gioiello: la scelta delle gemme e la lavorazione, forgiatura e cesellatura, il design che molto spesso è personalizzato o “tailor made”.
Il nome della boutique Anthozoa deriva dal nome latino della famiglia dei coralli, materia con cui Annabella ha un legame affettivo legato alle origini e che ama molto per la sua valenza simbolica legata aIla Terra, nella sua appartenenza al regno animale, vegetale e minerale insieme.
Nelle sue collezioni il gioiello non ha soltanto valore estetico ma anche simbolico, derivato anche dallo studio delle pietre in India, Tibet e Cina.

Anthozoa, interno della boutique
Sono talismani di buona sorte montati in pietra o in nudo metallo hanno recano sempre all’interno una particolarità unica: che sia una scritta, un traforo o altro, indica l’importanza dell’anima interna delle forme, come nel caso delle effigi di monaci per il fotografo o della preziosa elasticità del midollino nei mobili.
Michela Ongaretti