Home Sweet Home, la cui inaugurazione ha segnato l’inizio delle celebrazioni per i 100 anni di Triennale, è una mostra fuori dagli schemi, che ripropone il tema della casa e dell’abitare in chiave critica e progettuale. A sviluppare l’idea curatoriale e l’allestimento della mostra, a calendario dal 13 maggio al 10 settembre 2023, Nina Bassoli e Studio Captcha Architecture.
La casa e l’abitare nelle sue declinazioni
“Triennale ha sempre parlato di arte, architettura e società, assumendo in tal senso un ruolo di riferimento all’interno del dibattito italiano e internazionale. Attraverso il lavoro portato avanti negli anni, la questione della casa è stata affrontata in modo costante”: questa la premessa di Stefano Boeri, presidente di Triennale, che ha voluto spiegare come Home Sweet Home sia stata concepita e pensata con un duplice scopo.
Da un lato, proprio per festeggiare l’importante compleanno dell’istituzione, valorizzarne l’attività e quindi utilizzarne la storia. Una storia fatta di analisi e ricerca, ma anche di elaborazione, produzione e comunicazione. Dall’altro, tornare a ragionare a proposito di un argomento oggi tornato a essere oggetto di attenzione speciale. Questo perché niente come i luoghi dell’abitare è stato in grado di riflettere i cambiamenti che investono la società, soprattutto dopo una pandemia. Un evento di tale portata e durata infatti non poteva non avere conseguenze significative, se non addirittura strutturali, anche in ambito domestico.
Nel giro di due anni, in base a necessità e bisogni nuovi, la casa è diventata il fulcro delle nostre esistenze, stravolgendo azioni e abitudini quotidiane anche banali.
Le relazioni tra gli spazi e le funzioni della casa sono cambiate, come il rapporto tra l’interno e l’esterno, la casa e il lavoro, il pubblico e il privato, la famiglia e la comunità di riferimento. Il maschile e il femminile, in quanto ruoli, si sono avvicinati, mentre l’intimità e la socialità hanno acquisito una dimensione comune. Lo spazio è diventato ibrido, da adattare alle esigenze di lavoro, riposo e tempo libero. Oggi inoltre, la casa non è più solo un rifugio libero da convenzioni, ma anche un luogo di cura verso se stessi e gli altri e, complice l’invadenza della tecnologia, un luogo di evasione.
Home Sweet Home insiste sulle trasformazioni che coinvolgono la sfera dell’abitare contemporaneo in senso lato, procedendo su due binari paralleli: servendosi degli archivi della Triennale e del materiale (già) disponibile, ma adottando anche punti di vista nuovi, competenze differenti, e linguaggi e stili narrativi sperimentali. E’ una mostra corale che parte dal basso, articolata e provocatoria, a suo modo politica e che, proponendo una progettualità rinnovata, si rivolge al futuro, senza astenersi dal lanciare un messaggio forte e chiaro: avere una casa dignitosa non dovrebbe essere un privilegio, ma un diritto di tutti.
La struttura del percorso espositivo
“In un certo senso la storia di Triennale è una sorta di grande percorso metaprogettuale attraverso il tema della casa, che ha visto evolversi non solo la tipologia abitativa, ma anche il racconto intorno a essa e il suo ruolo nella cultura architettonica in generale (…)”, ha aggiunto Nina Bassoli. “Procedendo per temi comportamentali, anziché per tipologie architettoniche o per cronologie, la mostra rilegge i nuclei concettuali delle rassegne storiche alla luce di una prospettiva contemporanea. È in questo senso che l’esposizione tenta un approccio alla casa e, attraverso di essa, all’architettura, libero da percorsi strettamente disciplinari.
Si va alla ricerca di un campo in cui l’architettura possa essere in grado di parlare a chiunque, e della possibilità di ristabilire una relazione diretta e coerente tra i nostri bisogni più autentici e gli spazi da progettare. Il design, il disegno di interni e la storia stessa sono lasciati sullo sfondo, come affettuoso commento agli eventi che si svolgono al centro della scena: le azioni e i comportamenti degli abitanti”. La curatrice ha poi precisato come la casa sia una forma di architettura complessa, indissolubilmente legata alla vita dell’essere umano, declinata su scala diversa e che ha inevitabilmente un’accezione sia oggettiva che soggettiva.
Aiutato dallo sviluppo in pianta dell’edificio, il percorso espositivo si snoda in maniera fluida e lineare, facilmente fruibile.
Numerosi e tra loro eterogenei, i contributi e le soluzioni espositive, nonostante siano consecutivi e inseriti all’interno di un’omogeneità spaziale, mantengono un’autonomia propria. La luce è uniforme, poche le note di colore acceso. Grazie a una ricerca multidisciplinare, gli oggetti scelti e i supporti usati – che come è stato detto provengono da allestimenti precedenti e per questo riadattati – evidenziano come il concetto di casa abbia avuto un’evoluzione radicale, e come l’impegno e lo sforzo progettuale da parte dell’architettura sia stato rilevante.
Le cinque sezioni storiche tematiche
Più nello specifico, l’esposizione si divide in cinque sezioni che ricostituiscono parte dell’attività svolta dalla Triennale negli ultimi 100 anni. L’intento è di ricostruire le diverse problematiche legate all’abitare nel tempo, dal 1923 a oggi.
Partiamo con “Casa ludens”, di Gaia Piccarolo, che traduce formalmente i bisogni e i desideri universali incorporati all’interno dello spazio domestico. “Cucinare all’italiana 1923-2023”, di Imma Forino propone invece una riflessione sulla condivisione famigliare e sociale attraverso la cucina. Proseguendo, “L’angelo del focolare”, di Sex & the City (Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro) ironizza sui ruoli dell’uomo e della donna in casa. “La natura è di casa”, di Annalisa Metta riconsidera poi il rapporto tra ambiente naturale e domestico. E infine, “Abaco di finestre”, di Maite García Sanchis vuole mettere in luce sia l’aspetto tecnico che simbolico del serramento.
Dieci installazioni site-specific per Home Sweet Home
Questi cinque esercizi di rilettura e recupero convivono e dialogano con dieci installazioni “stite-specific”, caratterizzati da logiche analitiche e proposte progettuali a se stanti, libere e indipendenti. A cura di importanti studi internazionali, queste dieci installazioni vivacizzano la mostra, andando a parlare di stigmatizzazione di genere (“Caro, bastava chiedere”, Sex & the City), o anche a presentare il prototipo di una cucina urbana (“Urban K-Type”, Studio MAIO).
Altre propongono una riflessione sul rapporto casa-lavoro e pubblico-privato (“L’architettura della longhouse”, DOGMA), o rivendicano il valore pragmatico di progettare, costruire e vivere insieme (“Assemble Loves Food”, Assemble Studio). Céline Baumann, con il suo “Il parlamento delle piante d’appartamento”, si interroga sul senso della presenza delle piante in casa e della loro cura, invitando a considerare la condivisione dello spazio con altri esseri viventi.
Matilde Cassani con “La gabbia degli orsi. Un diorama per esseri umani” descrive una nuova fase del rapporto tra Uomo e Natura, ipotizzando il trasferimento di alcune attività solitamente svolte all’aperto dentro le mura domestiche. Il limite della casa diventa più permeabile. Sostenere il ruolo dell’architettura nella gestione dei cambiamenti sociali è invece l’intento di “A Section of Now”, Canadian Center for Architecture. “Lifespan” di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo presuppone che un buon progetto debba subire cambiamenti nel tempo sulla base di circostanze non prevedibili e comportamenti diversi.
“Inside-out: la finestra sul giardino” di Diller + Scofidio ragiona sul concetto di soglia rappresentato dalla funzione della finestra. A chiusura della mostra, l’ultima installazione, che funge da vero e proprio sipario, è “Trasformare, non demolire”. In un’ottica politica ed ecologica, Locaton & Vassal presentano la riproduzione di un loro celebre intervento di trasformazione architettonica su grande scala a Bordeaux.
Home Sweet Home prosegue fino al 10 settembre. Per saperne di più: https://triennale.org/eventi/