Bianco come antidoto al nero, che con l’elevata luminosità di tutti i colori dello spettro elettromagnetico contiene in nuce tutte le esperienze, tutte le emozioni che hanno un sapore rinnovato. Questo è anche il senso del divenire, della rinascita naturale della Primavera che porta un incremento sensibile nella luminosità dei nostri giorni. Il bianco è infatti associato da tempi remotissimi alla luce, origine di ogni sviluppo.
Bianco in mostra
E’ una fase germinativa quella del bianco, che può essere idealmente puro o assoluto, ma non è mai immobile, è in crescita, contenente in sé l’energia potenziale di ogni colore. Così in un momento cruciale della stagione, con la speranza che sia l’ultima mostra interrotta, in marzo la galleria Villa Contemporanea ha intrapreso con coraggio i suoi Esercizi di Purezza. Sono ravvisabili tra le opere di Camilla Marinoni, Max Marra, Eva Reguzzoni, Elisa Cella e Alberto Gianfreda. Visitabile fino al 30 aprile 2021.
Candide similitudini
Le opere selezionate rappresentano similitudini per la ricerca sul colore ma soprattutto per un approccio disciplinare al fare artistico studiato e personale, che manipola un materiale specifico a fini simbolici. Il bianco è volontà di ricominciare, di ritorno alle origini per trovare un nuovo punto di partenza con nuove possibilità espressive, veicolo di sentimenti profondi pur nella leggerezza.
Il bianco rappresenta anche i concetti di ordine e pulizia geometrica, di un luogo immacolato nel quale portare anima e corpo per la gestazione di un futuro sviluppo. Quindi il candore di Villa Contemporanea sviluppa la propria struttura con pazienza compositiva, raccogliendo in un percorso tecnicamente complesso il bagaglio poetico del bianco in relazione al ricamo manuale sulla stampa fotografica (Marinoni), alla carta come volume o alla volatilità del foglio ( Reguzzoni) , alla tela o le tele che si fanno scultura per Marra, al metallo con tagli di precisione millimetrica (Cella) o alla pesantezza illusionistica, verso la leggerezza, del travertino di Gianfreda.
Camilla Marinoni
Partire dal fondo, dalle opere della seconda sala è in questo caso più prezioso per avvicinarsi al sentimento della mostra. Perchè si parte dalle origini carnali della memoria, dove il bianco è quello dell’abbraccio materno, dei centrini ricamati, della culla. Il lavoro sul corpo e sulla tradizione matrilineare di Camilla Marinoni si relaziona al suo opposto, alla trasmissione interrotta e alla perdita. L’insegnamento del ricamo da parte della madre in fin di vita non è stato completato, consegnando a questa attività pratica manuale il senso della separazione.
La mancanza è attivante nel perpetuare la memoria, ed è per questo anelito simbolico che una struttura di guipure candido si erge su foto di punti vitali come capezzolo e ombelico. E’ la memoria materiale un reperto in una lingua non del tutto decifrabile, dove il filo racconta il personale e il corpo l’universale umano. Se infatti il ricamo richiama la cura del femminile, capezzoli e ombelichi sono di tutti in quanto figli, sono due dettagli del corpo che alludono alla nascita. Le opere di Marinoni in mostra sono come un lascito di consapevolezza della fragilità esistenziale e corporale, e della conoscenza come possibile guarigione. Attraverso una pratica che incarna il concetto di trasmissione conoscitiva si sublima il dolore e, forse, lo si trascende. Le tre opere esposte sono una piccola selezione di un ensemble installativo che conta un centinaio di pezzi.
Max Marra
Max Marra, classe 1950, artista prolifico e coerente con all’attivo più di quaranta mostre personali, lavora da molto tempo sulla complessità della materia, giocando spesso tra la logica bidimensionale e scultorea. Possiamo leggere le sue opere come estensioni pittoriche, dove il colore è materia che deborda dai suoi confini per raggiungere un volumetrie e rilievi polimaterici. La superficie vibrante invita ad avvicinare i polpastrelli per seguire l’incongruità di materiali armoniosamente combinati e unificati. L’aspetto liscio o ruvido, la maggiore o minore inclinazione delle sue “pance”, suggeriscono una diversificazione sensoriale che investe un discorso più profondo, più rivolto alle emozioni.
Le corde di iuta legano quindi l’interno all’esterno, concatenano episodi di una storia di vita in divenire: l’universo intimo e personale dell’artista e dei suoi viaggi in luoghi dalle luci e dai colori differenti sono tutti nel racconto di un’opera. Se l’artista ha spesso lavorato sulle terre del mediterraneo, nella ricerca da Villa Contemporanea candido è il colore per suggellare con eleganza l’intimità della memoria. Il peso materico delle stratificazioni di Marra rappresenta la somma del suo vissuto, così come il bianco racchiude la somma di tutte le tinte.
Eva Reguzzoni
Anche nel lavoro di Eva Reguzzoni il processo creativo parte dall’interiorità per narrare attraverso i materiali una storia di complesse e ineluttabili fragilità. La non finitezza della forma cristallizza ciò che è destinato a ripetersi all’infinito nell’esistenza umana, ciò che è possibile solo in quanto processo senza sosta e senza modalità risolutiva. E’ l’espressione di una identità, ovvero la sua ricerca, a perpetuarsi oltre il tempo delle generazioni. Tutto questo avviene però, a differenza di Marra, in progressiva assenza di peso.
Le opere in mostra ragionano sulla volatilità della carta, velina, che si presenta già come una raccolta di frammenti organizzati, Questa risma di materia leggera, già di per sé nata da un procedimento di purificazione, ospita una scrittura fatta di ricami che evocano le tracce di un vissuto non del tutto decifrabile: è il gesto ma è anche, già, la memoria del gesto, nel suo fissarsi, nel suo essere bloccata dal confine del foglio. E’ il mondo astratto del bianco che raccoglie la luce, che trattiene colore e sentimenti. Il ricamo però deborda oltre i limiti, affiora nello spazio esterno come corpo del presente, che non può davvero chiudere la porta al ricordo.
Elisa Cella
La produzione di Elisa Cella si offre come indagine generativa della forma. La ricerca pittorica si è evoluta nell’installazione a rondelle metalliche per l’associazione M.AR.CO, poi proprio da Villa Contemporanea con la collettiva dal titolo emblematico Estetica Matematica, a cui è seguita la sperimentazione con altri materiali. Qui è in bianco quella che leggiamo come una scultura da parete, nella quale la luce gioca un ruolo determinante per l’effetto mutevole della superficie, in un’opera realizzata con pigmenti riflettenti in rilievo. In tutti i lavori la struttura modulare si sviluppa a partire dalla geometria della cellula, unità fondamentale di ogni organismo vivente.
L’idea della trasmissione tanto presente in questa mostra è intesa dall’artista in senso biologico, con l’attenzione di chi ha un approccio al mondo scientifico e razionale, pur consapevole dell’intervento del caso. La forma pura del cerchio si sviluppa secondo la rappresentazione del processo fisiologico alla base della vita, della sua crescita organica.
Il colore bianco potenzia il simbolismo esistenziale, poiché all’assoluto della tinta si associa l’universalità di un pensiero rivolto alla crescita continua: ciò che è genetico è anche innato ed è destinato a propagarsi finchè la vita continuerà a rigenerarsi, continuando la memoria, dunque la conoscenza, aprendosi alla variabile imprevedibile della luce.
Alberto Gianfreda
Accostare due materiali differenti è avvicinare due letture simboliche e due modalità di impatto nello Spazio, che dipendono dalla reputazione di quel materiale nella Storia e nella Memoria collettiva. E’ l’unione di queste identità riconoscibili che genera nuove possibilità espressive, nell’opera di Alberto Gianfreda, insieme allo studio della loro “mobilità”. La forma di una scultura per l’artista è sempre installativa perché si interseca indivisibilmente allo spazio che l’accoglie.
Anche qui il frammento contiene in nuce le informazioni utili alla sua proliferazione, soltanto che per Gianfreda è più interessante considerarlo un tassello, la parte di un insieme dove ogni elemento ha pari dignità costitutiva. Non compete con gli altri e non si separa da essi, per costituire la scultura: flessuosa grazie alla parcellizzazione di un materiale rigido. Il travertino è destrutturato e riassemblato, montati i frammenti su una maglia metallica di alluminio, contraddicendo l’usuale percezione del materiale che rivive in continuo e possibile divenire. Sul concetto di bianco che unifica e custodisce esperienze, conoscenze o memorie quest’opera indaga la necessità della rivalsa, della rinascita secondo nuove sembianze.
Michela Ongaretti