Emanuele Dascanio, il disegno della luce e del simbolo
Emanuele Dascanio, il disegno della luce e del simbolo.
Si è conclusa alcune settimane fa la mostra di Emanuele Dascanio “Su la soglia della luce” presso la Fondazione Maimeri in Corso Colombo. Un amico artista mi ha mostrato alcune pagine del catalogo, e ho subito desiderato conoscere meglio l’opera di Dascanio. La mia visita è stata entusiasmante perché ho avuto una guida speciale: l’artista stesso, che mi ha accolto pronto a conversare sul suo lavoro, stupendomi con la sua personalità decisa e umile allo stesso tempo. Ha le idee molto chiare su cosa vuole ottenere con la propria tecnica precisa, e sul suo contenuto profondo, ma nonostante sia stato definito un enfant-prodige non esita nel parlare di altri grandi del suo tempo nella stessa disciplina, non ergendosi a unico interprete di quello che in tanti chiamano iperrealismo, preferendo per il suo lavoro il termine fotorealismo.
La mostra curata da Angelo Crespi e Alessandra Redaelli è stata voluta dal Presidente della Fondazione e AD dell’Industria Maimeri, Gianni Maimeri e il Ceo di F.I.L.A. ( Fabbrica Italiana Lapis ed Affini) Massimo Candela, dopo la richiesta di Maimeri di poter utilizzare dei dipinti e disegni di Dascanio, realizzati ad hoc, per il packaging del brand Lyra. In esposizione c’erano le confezioni di pastelli, le opere originali, e quelle acquistate da Lyra ma non scelte per la distribuzione, a causa della commissione islamica che vieta l’utilizzo della figura femminile sui prodotti, nei paesi arabi. Vediamo in totale ventidue opere ben rappresentative del percorso finora intrapreso dal trentaduenne, già costellato di diversi riconoscimenti.
Con questi lavori è chiaro come l’arte sia in grado di nobilitare, (e mobilitare), un prodotto commerciale. Operazione che non è certo sconosciuta, ne tanto meno scandalizza i lungimiranti artisti della nostra epoca. Chiedo infatti a Dascanio se ritiene che le aziende possano essere collezionisti attenti, e alla risposta positiva aggiunge che di fatto gli artisti sono sempre stati a disposizione di aziende, che i mecenati dei secoli lontani erano come tali. Chi compra e investe sull’arte sono persone comuni, possono essere “postini o industriali” con intenzioni diverse. C’è chi ha un gusto per la bellezza che non è mai merce, semmai regala quel ” qualcosa in più di quello che ti aspetti di vedere”, per avvicinarsi a un’idea unica, a una visione del tutto originale e altra rispetto al vissuto quotidiano, che per un brand è una luce d’inaspettato riverbero sul proprio operato.
Ci sono certo altri tipi di arte legati all’investimento, quella dettata dalle leggi del suo mercato, dove è tutta una questione di quotazioni svuotando la forma di un valore oggettivo, dove sono le parole usate che fanno vendere. Il tipo di arte propugnata e realizzata da Dascanio secondo lui stupisce perché è ancora fuori dal mercato comune, chi la desidera lo fa per gusto, unicamente.
E’ il mondo del figurativo e per Dascanio della poetica fotorealista, che parte da un’immagine creata con una composizione costruita dallo stesso artista, per ricomporla attraverso i dettagli e darle espressione attraverso il tratto, con pietra nera e grafite più spesso che col colore. La scelta sentita verso il realismo dei particolari usando una foto nasce da motivi personali, quindi fuori da una logica di richiesta del mercato: sarà che il disegnatore riconduce il suo modus operandi ad un disturbo visivo che gli impedisce di vedere da lontano, ma se gli “viene di fare esattamente questo”, io aggiungerei che è il risultato stupefacente a far sì che il suo sistema vince e interesserà anche chi non sempre è attratto dal realismo estremo.
Il corpus dei lavori diDascanio vive di dettagli, “fino al limite della texture”, ma sente il bisogno di un dialogo con chi guarda da fuori, e lo trova nella composizione, nella visione d’insieme, così un disegno o un dipinto rappresenta il “dono ad altri della visione che non hai”.
Gli chiediamo chi considera “eccellenti” tra chi opera nel suo stesso mondo del disegno e della figurazione, dove il supporto cartaceo ha oltrepassato il millennio di splendore, e ci parla di Maurizio Bottoni, Gianluca Corona, Agostino Arrivabene, Nicola Verlato, Roberto Ferri , dove la tecnica non è fine a sé stessa ma a contenuti complessi, “sono alchimisti, dietro alla pittura c’è un pensiero poderoso”.
Il suo percorso inizia in pittura: apprende dal suo maestro Gianluca Corona ( a sua volta da Mario Donizetti), a “bottega” come un artista rinascimentale, come utilizzare strumenti, passaggi, come trattare la luce perché ” per fare prendere forma al tutto e dare poesia serve un controllo totale”, e quel controllo, quella precisione che calcola tutto fin dall’inizio è ora avvertibile nella sua disciplina più congeniale e sentita, più usata: il disegno, dove ogni velatura influenza lo step successivo, dove la grafite e la pietra nera sono armonizzate in un tratteggio continuo, leggero, che si fa gestuale a seconda del “dramma” luministico.
Il suo approccio all’immagine è in primis al disegno che per Emanuele Dascanio è pittura,insieme all’aura di sacro, che è ciò che rende immortale l’immagine. In esso si vede il tempo che fa nascere e crescere l’opera, ed è inoltre popolare: “Io uso quello che le persone sanno vedere meglio”. Le figure emergono dal buio come l’apparizione su un boccascena, dove ogni particolare è in evidenza improvvisa, dalle pieghe degli abiti alla definizione di ogni singolo capello.
Per l’artista una linea rappresenta un “contrasto romantico”, che gioca sugli effetti luministici, su quel confine tra buio e luce come recita il titolo della mostra, e come si interpreta la visione di una certa pittura del cinque-seicento da Caravaggio in poi, matrice senza dubbio d’ispirazione formale e di contenuto. La sottile linea di confine delimita anche i territori del sacro e del profano, dell’antico e del contemporaneo, mettendo in comunione il “rigore fiammingo al calore del rinascimento” italiano nelle nature morte, e in quelli che appaiono ritratti ma sono sempre allegorie.
Il sacro è come ho accennato un mezzo per toccare le corde di tutti attraverso la memoria storica, è l’origine del simbolo, quindi inteso come “revival”, funzionale alla comunicazione del contenuto profondo. Il sacro è un codice che fa scattare l’ appartenenza dell’immagine all’allegoria, nella sua comprensione immediata, e la fa durare nel tempo: quest’ aspirazione all’immortalità dell’effige interessa del periodo tardo-rinascimentale, non l’emulazione di uno stile ma il suo intento di diventare icona per i contemporanei e i posteri.
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L’iconografia sacra è resa al servizio di concetti universali attivati nell’osservatore contemporaneo, non è un gioco meramente estetico e combinatorio tra elementi del presente e del passato, ma intende muovere alla riflessione di ciò che siamo, oggi. Esemplare in questo senso è l’opera “Depositio Maddalenae”, tra le ultime creazioni. La grafite e pietra nera su carta uniscono i diversi linguaggi della posa classica e sacrale all’eros contemporaneo , ed è forse l’opera più postmoderna, classica e contemporanea ad un solo sguardo: una bellissima donna ricalca nel corpo scivolante verso il basso la posa di una deposizione cristiana, mentre la lingerie di pizzo non può che appartenere al presente e riporta al contesto erotico sia per la fisicità che per le lenzuola stropicciate ad arte, come una sindone. Il misticismo oggi lo si può trovare nell’eros, che può essere votato a una spiritualità immanente, in una passione che non è più quella sacrificale della religione. Il gioco duale di destabilizzazione, tra luce e ombra, sacro e profano, contemporaneo e classico avviene però in maniera leggera come il suo tratteggio stratificato; non vuole scioccare ma soltanto suggerire una visione che non finge una verità assoluta.
Tra tutte le opere di Emanuele Dascanio noto un’altra dicotomia: tra la visione del soggetto maschile e quello femminile. Il corpo riflette l’ideale ed è sempre metafora che rimanda ad altro da sé nella sua presenza scenica, quindi l’uomo è anziano perché simbolo di saggezza, di una vita intensa e intessuta di esperienze, è la “forza lavoro creatrice”, mentre le donne sono giovani e nel pieno della bellezza e fecondità in quanto comunicano la virtù o la fragilità di un’esistenza in corso di realizzazione. La maggior parte dei lavori utilizza la figura femminile, così che nella sua bellezza ideale faccia fermare lo sguardo, ipnotizza e concentra su un concetto.
Tra le allegorie laiche osservo la fanciulla di “Allegoria del sublime”, le due figure femminili inizialmente studiate per il packaging Lyra, e “Divina Consonantia”. Qui il volto della Musica porge al mondo una conchiglia, la Matematica o la perfezione dell’universo, racchiuso in alcune forme naturali, come vien ancora esemplificato nel dipinto ad olio “Amplecti Vitae”, nel quale lostupore della Natura palesato in un semplice cavolfiore è altrettanto stupefacente di un frattale.
La figura maschile che desidero citare è “Leonardo messo a nudo per me”, dove il genio, la sua storia tra le linee della barba,e le rughe del suo corpo, guarda fuori dal quadro perché tutto ciò che sta fuori si concentra nelle sue opere, la sua pittura era fatta per spiegare il suo studio sulla Natura e le sue potenzialità. Lo sguardo è rivolto a nuove idee, nuove scoperte, e pare di guardarlo attraverso uno specchio.
Sempre l’ideale della tecnica, della forza lavoro non slegata dalla genialità è simboleggiato dalle mani presenti sulle confezioni dei pastelli Lyra, logicamente e intuitivamente le mani, senza bisogno di cercare allusioni lontane o complesse perché come diceva Leonardo da Vinci “La semplicità è l’ultima sofisticazione”.