Binta Diaw coltiva un giardino degli antenati nella galleria di Giampaolo Abbondio

by Michela Ongaretti
0 comment

Binta Diaw con la mostra personale “In Search of Our Ancestors’ Gardens” è un respiro di aria fresca con il suo messaggio profondo e semplice, affidato ad un linguaggio pulito, sofisticato ma alla portata di tutti coloro che si avvicinano alla sua opera.

 

Binta Diaw presso la galleria Abbondio

Binta Diaw tra foto e installazione. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. ©Giuliano Plorutti


 

Con il giusto tempismo rispetto all’attenzione rivolta la scorsa settimana a Bologna, la galleria di Giampaolo Abbondio ha inaugurato l’anno con una mostra coraggiosa. Non solo perché per investire su un giovane alla sua prima personale oggi serve una buona dose di ottimismo, ma anche perché si è optato per un allestimento scarno che mette in risalto una selezione ristrettissima di opere, tre stampe fotografiche e una grande installazione a pavimento. Insomma si punta tutto sulla qualità di una ricerca, senza accalcare lavori per aumentare la possibilità di accaparrarsi collezionisti dell’ultima ora.

 

Binta Diaw, Paysage Corporel III, 2018

Binta Diaw, Paysage Corporel III, 2018, gessi su stampa giclée su carta 100% cotone
montata su dibond. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Binta Diaw

Binta Diaw è una ventiquattrenne italo-senegalese nata a Milano. Due, anzi tre, semplici dati anagrafici che riflettono l’anima del suo lavoro. Quella che viene definita una matrice intima e autobiografica è riscontrabile nella ricerca che include, l’osservazione sulla sua pelle, in termini oggettivi e metaforici nel lavoro fotografico. Ad essa si interseca una dialettica costante tra le identità culturali italiana e africana, mantenendo irrisolta la loro collimazione, in un discorso di rivendicazione di duplice e concomitante essenza. 

 

Binta Diaw, ritratto

Binta Diaw al vernissage della mostra. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. ©Giuliano Plorutti


 

Il giardino delle antenate

A questa si aggiunge la matrice letteraria nello studio approfondito dei Black, Cultural e Feminist Studies. E’ la scrittrice, poetessa e attivista afroamericana Alice Walker, autrice della raccolta di saggi “In Search of Our Mothers’ Gardens” ad ispirare maggiormente e suggerire percorsi di ricerca per l’artista. Il testo è considerato una pietra miliare del femminismo, racconta le ingiustizie e la sofferenza delle donne nere nella Storia e nel presente. Binta Diaw si è a lungo immedesimata nella rivendicazione politica e sociale della Walker e in particolare ha fatto propria la ripetuta domanda  “What does it mean to be a black woman and an artist?”

L’importanza della testimonianza degli antenati è sottolineata dal titolo della mostra, “In Search of Our Ancestors’ Gardens”. Essi sono presenti nonostante la Storia li abbia esclusi dai racconti ufficiali e manifestano nell’opera di volta in volta attraverso un segno grafico, un’eco di rituali, tradizioni, corpi e voci.

 

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020.

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020. Installation view. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Chorus of Soil

Emblematica per questa lettura è l’installazione di Binta Diaw Chorus of Soil che trasforma una sala della galleria in un memoriale della tragedia coloniale, trasfigurata attraverso il suo materiale costitutivo, la terra.  Appoggiata al suolo vediamo la riproduzione di una nave negriera, nella rappresentazione a volo d’uccello tipica degli atti di regolamentazione per il trasporto degli schiavi neri del XVIII secolo. La posizione dei corpi degli schiavi descrive in quelle stampe la geometria del bastimento, qui sostituita da terriccio fertile. La denuncia in questo modo lascia posto ad una enunciazione propositiva, perché manifesta una logica germinativa, vitale, insita nella fisicità e nella simbologia di ciò che può portare a nuova vita. 

 

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020,

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020, terra e germogli di pianta di melone. Installazione sitespecific. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Senza dimenticare l’origine dell’immagine, che disegna l’annichilimento dell’uomo ridotto nel corpo a pura merce, si materializzano le stesse anatomie mediante la sostanza indispensabile alla crescita organica. La delicatezza di piccoli germogli chiari che spuntano irregolarmente, è quasi commovente quando ci si accorge che la nostra osservazione si rivolge ad una possibilità differente, che è fattibile affidare la scrittura di una nuova pagina di Storia alla semplicità di comportamenti quotidiani.

La potenza visiva dell’insieme è amplificata dai particolari, non più quindi una topografia statica di figure, ma una struttura formata da un magma scuro proveniente da un procedimento attivo. Per Binta Diaw e per l’osservatore la nave non c’è più, siamo a terra e dalla terra si continua la lotta per l’esistenza.

 

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020, terra e germogli. Particolare

Binta Diaw, Chorus of Soil, 2020, terra e germogli. Particolare dell’installazione site specific. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Germogli

Dalla conversazione con Binta Diaw apprendo che i semi inseriti nel terriccio sono di melone, una specie che cresce nell’originaria Africa e viene coltivata oggi nelle piantagioni del Sud Italia. Mi spiega il parallelismo tra i campi di cotone nei secoli scorsi e il nuovo sfruttamento della manodopera delle nuove immigrazioni, per coloro le cui condizioni di lavoro sono inaccettabili. Migliaia di donne e uomini sono minacciati sistematicamente dalla violenza della Mafia e dei cosiddetti caporali. 

Però me lo racconta con il sorriso sulle labbra, perché l’attenzione alla fragilità dell’uomo, nel monumentale richiamo simbolico all’equilibrio costante tra vita e morte, è anche l’invito a guardare ad un possibile nesso tra la continuità di un’attività originaria, l’agricoltura, tra due continenti. Una parte di Africa sta crescendo in Europa se si guarda da vicino, se non si legge soltanto la superficie, si notano quei piccoli miracoli verdi che spuntano in una galleria d’arte.

 

Binta Diaw e il gallerista Giampaolo Abbondio

Binta Diaw e il gallerista. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. ©Giuliano Plorutti


 

Organismo di terra 

L’artista aggiunge che la terra simboleggia lo stesso corpo umano, così come esso simboleggia la Terra. Esiste una metonimia reciproca: l’organismo umano per il grande organismo della Natura. Gli elementi idrografici o geologici alludono al funzionamento della biologia umana. Quell’equilibrio tra passato e presente, tra negazione e costruzione, tra fragilità e crescita espresso da Chorus of soil, è letteralmente disegnato sulla pelle nel lavoro fotografico di Binta Diaw.

 

Binta Diaw, Paysage Corporel I, 2018

Binta Diaw, Paysage Corporel I, 2018, gessi su stampa giclée su carta 100% cotone montata
su dibond. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Esiste sempre un fattore di crescita. Se nella terra è dichiarato dagli elementi naturali, infinitesimi o macroscopici ma comunque vivi da millenni, sul corpo umano sopravvivono i legami con l’eredità della cultura, delle tradizioni, della attività di autoconservazione. Condividiamo la biologia dei nostri antenati, come un fiume si definisce un corso d’acqua permanente. Quest’ultimo  può asciugarsi o deviare a seconda degli eventi o dell’intenzione umana, ma del suo passaggio ne resta traccia per sempre.

 

Binta Diaw, Paysage Corporel II, 2018.

Binta Diaw, Paysage Corporel II, 2018. Gessi su stampa giclée su carta 100% cotone montata
su dibond. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. Ph. Antonio Maniscalco


 

Paysage Corporel

Nelle tre opere dal titolo esemplificativo “Paysage Corporel I, II e III”, la fotografia cattura visioni ravvicinate di dettagli anatomici. E’ l’immagine della pelle di Binta Diaw ad essere successivamente rielaborata con gessetti colorati per suggerire percorsi geografici, geometrie e cromatismi del paesaggio naturale. Il blu di un grande fiume, l’orografia gialla e rossa delle rocce, le radici rosse come sangue.

Sono la risposta dell’inscindibile legame tra due particolari, che solo insieme parlano all’universale, in un continuo scambio e interrelazione che è la vita oltre la Storia, ma che grazie all’eredità accettata oggi è manifesto. E’ una possibile risposta al questioning di Alice Walker, perchè l’Arte rivive il giardino degli antenati sulla pelle nera di donna, nell’affinità elettiva tra ciclicità di Corpo e Natura.

Michela Ongaretti

   

Binta Diaw in mostra da Abbondio. Vernissage 1

Un momento durante il vernissage della personale di Binta Diaw. Courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio. ©Giuliano Plorutti

In Search of Our Ancestor’s Garden è visitabile fino al 31 marzo 2020.

Galleria Giampaolo Abbondio, viale Sabotino 22, Milano

You may also like

Leave a Comment