Cinque artisti in un luogo antichissimo fino al 22 ottobre, cinque ricerche modernissime nell’accogliere una tradizione, e poi magari disfarsene, stravolgere, mescolare a personali visioni o ossessioni…Che il passato faccia parte del presente per il percorso nella ceramica in mostra con Attese Speranze, è vero sia dal punto di vista formale che tematico, senza forzature, senza bisogno di farne un manifesto à la page. Più intrigante è scoprire in che modo si aprano speranze, dunque uno scenario sul futuro, nella ricerca di Adriana Albertini, Fabio Frau, Remo Rachini, Fausto Salvi e Livio Scarpella.

All’interno della basilica romanica di San Celso l’allestimento appare determinato dallo spazio circolare, che delinea un cammino affine a quello di chi entra in un luogo di culto. Non tanto da fedele, quanto da visitatore, da turista moderno del sacro.
Questo ideale viaggiatore invece che incappare in sculture, ornamenti o dipinti religiosi, trova degli esiti genuini di riflessioni tutt’altro che antiche, di soggettività che vanno oltre la modernità e oltre il senso del sacro. Il dialogo tra ambiente e opere è dunque più fruttuoso, nell’innescare interrogativi e curiosità sul lavoro degli artisti coinvolti, se si pensa che non ci sono realizzazioni site specific. Così i due “interlocutori” mantengono una voce distinta, sottraendosi ad una logica unitaria che potrebbe risultare forzata in un luogo dal così forte genius loci, al cospetto di cinque universi artistici assai eterogenei.

La visione è armoniosamente polifonica, permettendo di capire cosa nella vita fuori dalla mostra perdura delle cinque, anzi sei “personalità”.
Quella della chiesa ospite di Attese Speranze ha anche la caratteristica di essere sconsacrata, di essere diventata altro da ciò per cui è stata originata, come è accaduto per la lavorazione della ceramica nei secoli. Se i contenuti dell’arte contemporanea anelano all’universale, e i suoi esiti talvolta trascendono l’aspetto tecnico, qui la forma è imprescindibile dalla sua formazione, dalla costruzione basata su procedimenti precisi e dalla modellazione di una materia estremamente duttile.

E’ l’opera in ceramica a riunire sotto lo stesso tetto cinque compagni d’avventura, cinque scultori che per vocazione incontrano il passato senza passatismi.
Curioso, secondo la mia inclinazione e lettura, che Valerio Terraroli abbia aggiunto, come sottotitolo del testo di presentazione, “Cinque artisti per il prossimo futuro”, condizione che non è di fatto esperibile ma che si può palesare come ideale, appunto come speranza. Auspicabile, soprattutto da un punto di vista fattuale, di azione nel vivere quotidiano, è il far tesoro degli esempi virtuosi o diabolici della Storia, e l’Arte è tra le testimonianze materiali ciò che conserva memoria sincera di ciò che voleva essere, nel momento in cui è stata prodotta.

Sicché, per giungere ad un ipotetico futuro, cioè trasmettere a chi verrà dopo di noi il senso della creazione, queste cinque espressioni poetiche, autonome, hanno in comune la costruzione dell’opera con un forte approccio disciplinare, attraverso la manipolazione di un’affine materia. Non è un’osservazione banale perché da un processo atavico gli elementi terra, acqua e fuoco sanno ancora concretizzare uno spirito, inedito rispetto alle tradizioni alle quali attingono in maniera spregiudicata.
Oltre la modernità e il concettualismo. La qualità tattile affidata alla ceramica in San Celso unisce i cinque artisti in una condizione, nel sentire di un’attesa. Qualcosa già accaduto, che risorge in una costante trasformazione, aspira ad un senso nuovo. Attraverso la combinazione di queste cinque esperienze e sensibilità personali si può leggere “una sostanziale risemantizzazione del pensiero di partenza”.

Entrando nella basilica, rispettivamente a sinistra e a destra troviamo le sculture verticali di Fausto Salvi e Livio Scarpella. Due visioni complementari che ragionano su preesistenze sentite, amate.
Le colonne di Salvi sono nate per una prima collocazione al monastero di S. Giulia di Brescia: regno di ricombinazione stilistica con un’originale aspirazione al classico. Le scanalature perfette del fusto sono adagiate e rifioriscono nelle concentricità sul basamento. In terracotta a vista o in candido smalto con interventi blu e purpurei. Quando lo sguardo si alza non troviamo però l’ornato a foglie d’acanto del capitello ma ben più misteriosi rami, futuribili organismi in metamorfosi dal regno naturale a quello artificiale. Archeobotanica culmina forse con un monito all’incipiente crisi ecologica, o una profezia della necessaria ibridazione del gene della Bellezza.

I Desiderantes di Scarpella sono anch’essi ibridi che culminano nelle identità di anatomie maschili dal gusto eroico. Una classicità fatta di iconografie già riassorbite in altre, che per lo scultore non bastano mai. Come in un gioco di specchi tra virtuosismo tecnico della tradizione barocca e della (post)modernità della decorazione, tra citazioni colte e suggestioni ironiche. Esuberanti monumenti dalla pensosa solennità, nella verticalità appaiono creature in movimento, nell’atto di liberarsi. Infestate e al contempo glorificate dagli ori e dai colori brillanti in concrezioni di smalti, in una carezza che li blocca. In attesa di superare l’eterno presente come nel sortilegio di Dafne e Apollo per Bernini.

Altri passi verso l’altare e troviamo, sempre da sinistra a destra, i lavori di Remo Rachini e Fabio Frau, con un riferimento all’ambiente sacro più metonimico. Qui più vicino alla simbologia della fede, o al suo opposto.
Anche Fons Luminis di Rachini si innalza in verticale e riformula, formalmente e simbolicamente, una struttura avvistabile in un luogo religioso. Del candelabro monumentale resta la funzione di portare luce, moltiplicando le sue opportunità attraverso numerosi contenitori in ceramica smaltata che per la mia sensibilità richiamano un ambiente domestico. La casa come la psiche (anima) dell’artista che da uomo contemporaneo accende il calore alla lucidità della visione, alla ragione ma anche alla “capacità del riscatto, alla possibilità dei cambiamenti, all’accoglienza”. L’opera accoglie il sentimento personale e collettivo dell’incontro, di una ritualità del gesto quotidiano, con la speranza che la civiltà umana abbia continuazione.

Frau propone numerosi esemplari di Omero che fanno pensare alle reliquie presenti in luoghi come San Celso. Sono installati in mucchio richiamando la genesi dell’opera, da un ritrovamento casuale di canne palustri su una riva. Dal calco in argilla e calce permane l’idea di fragilità, e antichità, di ossa umane. L’artista genera così uno scarto semantico: la forma fa pensare alle speranze stroncate in mare, alla morte e alle tracce di vita che restano, ma cambiando l’accento tonico della parola immaginiamo Omèro. Il cantore di mitici viaggi, di lontananza nel tempo e nello spazio, evoca speranze di ritorno, di un nuovo approdo alla casa degli affetti.

Al centro, nell’abside sconsacrata, osserviamo i sacri cuori Ex-voto Suscepto di Adriana Albertini, testimonianze antiche di speranze realizzate.
Bianchi o colorati, funzionano come ensemble democratico, sono aneliti al futuro di cui conosciamo l’esito. Sono oggetti minuti che finemente tratteggiano il cuore fiammeggiante, denso di rimandi alla tradizione religiosa, già da tempo passato all’iconografia pop, dalla moda al tatuaggio.

Popolare era sin dalle origini arcaiche il contesto della loro apparizione, messaggi di gratitudine di persone semplici. Raccontano vicende umane che non smettono di srotolarsi, che la scultrice condivide con l’osservatore come confidenze da sconosciuti. Parole, motti o date pronunciate sottovoce, visivamente nascoste nella ceramica invetriata monocromatica, ruotano attorno ai grandi temi di ogni tempo: Amore, Morte, Vita, Guerra, Malattia, Natura, Ambiente.
Attese Speranze fa parte della rassegna più ampia Incontri, all’insegna di arte musica e letteratura.
Sul catalogo a corredo della mostra compare l’azienda Accapierre di Rosy e Giovanni Favero, che dichiara il suo contributo senza troppo protagonismo. In effetti la sua partecipazione si basa non sul concetto di sponsorship, ma di un nuovo mecenatismo aziendale. Dunque non si intende semplicemente concedere ad un evento le risorse finanziarie per dare prestigio alla propria immagine, ma promuovere le idee creative attraverso gli stessi artisti.

Secondo questa visione il mecenate “supporta, favorisce, ispira uno scambio di esperienze e iniziative che si traduce in una straordinaria possibilità di fruizione”. Così nasce Incontri. Alla sua terza edizione nel prezioso bene architettonico milanese, affidando la direzione a Remo Rachini, per le esposizioni, ed Enrico Ruggeri per gli eventi musicali, coinvolti in prima persona come artisti partecipanti.
Per maggiori informazione sugli eventi, e per sfogliare il catalogo della mostra online
https://www.impronte-accapierre.com/edizione-2022
